Il mondo denso che verrà
Nessuno può dire quanti abitanti ci saranno sul pianeta alla fine del secolo. Qualche segnale però ce lo fa immaginare
Viviamo nel mondo più densamente popolato che fosse possibile anche soltanto immaginare appena un secolo addietro, un soffio nella storia dell’umanità. Ma questo nostro mondo non è denso tutto allo stesso modo e, soprattutto, marcia a livelli di popolamento assai diseguali tra le diverse aree e regioni che lo compongono. Ciò è a tal punto vero che quando si parla in modo generico di eccesso di popolazione, di boom della popolazione, di politiche demografiche e analoghe espressioni e questioni si rischia di annullare tutte le specificità in un calderone indistinto che non aiuta la comprensione di quel che è e di quel che comporta un mondo denso come il nostro. Che cosa possono mai avere in comune, sotto l’aspetto del popolamento, l’Europa e l’Africa, se non il fatto di essersi entrambe intensamente popolate, la prima con grande anticipo rispetto alla seconda? In Europa il tasso di fecondità, numero medio di figli per donna, è 1,62, largamente sotto la media mondiale attuale di 2,47, mentre in Africa è 4,43, quasi tre volte il tasso europeo e dell’80 per cento superiore al tasso mondiale. In Europa, su 100 abitanti, 16 hanno meno di 15 anni contro i 41 dell’Africa, e 25 più di 60 anni, contro gli appena 5 dell’Africa, per un rapporto di 2,6 anziani per ogni bambino e ragazzo in Europa e di 8,2 bambini e ragazzi per ogni anziano in Africa. Siamo, come ben si vede, agli antipodi prima ancora che del popolamento – giacché l’Africa recupera quell’aumento di popolazione che l’Europa ha attraversato da un pezzo – delle caratteristiche strutturali delle rispettive popolazioni. Quelle stesse caratteristiche che determineranno un divario straordinario anche e proprio nel numero degli abitanti tra Europa e Africa già in questo secolo, alla fine del quale l’Africa avrà circa 4,5 miliardi di abitanti – ovvero tre volte e mezzo gli abitanti attuali e praticamente gli stessi che avrà per allora l’Asia – e l’Europa 650 milioni circa, quasi un centinaio di milioni in meno di quelli che ha attualmente. Dinamiche e prospettive assolutamente divergenti che portano a concludere, nient’affatto paradossalmente, che di fronte al mondo denso di oggi si deve cercare di intervenire sulle dinamiche demografiche in modo e con misure diametralmente opposte a seconda di dove si guarda, di qual è il paese, la regione del mondo che interessa. Perché in Africa il problema numero uno è senz’altro quello di cercare di limitare il più possibile e il prima possibile un numero medio di figli per donna che per essere ancora attorno ai 4,5 – quasi due figli e mezzo sopra la soglia di sostituzione – è insopportabilmente alto, mentre il problema numero uno in Europa è quello esattamente opposto, ovvero cercare di rianimare un numero medio di figli per donna che è da mezzo secolo sotto la soglia di sostituzione di almeno 0,5 figli in media per donna. Ma come fare se in Africa, per essere la popolazione giovanissima proprio in virtù dell’alta natalità, sempre più giovani donne entrano nell’età feconda mentre in Europa, per essere una popolazione vecchia, come conseguenza della bassa natalità e del continuo aumento della vita media, sempre meno don- ne entrano nell’età buona per fare figli? Né si può pensare che tutto si riduca alla messa in atto di misure esclusivamente demografiche, nataliste o antinataliste a seconda che si guardi all’ Europa o all’Africa, essendo da tempo evidente che per esempio senza un adeguato sviluppo economico e sociale – e meglio sarebbe se anche democratico – la natalità tende a restare alta. Non per niente il punto debole del popolamento, quello che andrà avanti ancora per un pezzo a spron battuto prima di assestarsi e fermarsi, è rappresentato dai paesi più poveri e più generalmente ancora da quelli in via di sviluppo.
Quando si parla in modo generico di eccesso di popolazione, si rischia di annullare tutte le specificità in un calderone indistinto
Eppure le novità più promettenti sul fronte demografico vengono proprio da questi paesi.
I paesi in via di sviluppo, dice infatti la nota population Facts n. 3 dell’ottobre 2017 della Population Division dell’Onu dal titolo oltremodo significativo “The End of High Fertility is near”, stanno ormai attraversando una fase di transizione demografica caratterizzata dall’incremento della speranza di vita o vita media e dal declino dei livelli di fecondità. Anzi, si aggiunge, molti di questi paesi stanno raggiungendo livelli di speranza di vita e di fecondità che sono assai simili a quelli che si riscontrano nei paesi più sviluppati del mondo. I paesi con alta fecondità (più di 5 figli in media per donna) stanno letteralmente scomparendo, mentre sono destinati a contrarsi anche quelli con fecondità intermedia (da 2,1 a 5 figli in media per donna). I soli paesi in aumento, in forte aumento, sono quelli che non raggiungono la soglia di sostituzione della popolazione di 2,1 figli in media per donna. Come conseguenza di questi sommovimenti, già entro il 2030 solo l’1 per cento della popolazione mondiale vivrà in paesi ad alta fecondità (era l’8 per cento nel 2010), il 32 per cento vivrà in paesi con fecondità intermedia (era il 46 per cento nel 2010) e addirittura il 67 per cento, oltre i due terzi della popolazione mondiale, vivrà in paesi con una fecondità che non arriva alla soglia di sostituzione dei 2,1 figli per donna (era il 46 per cento nel 2010). A breve, in un anno compreso tra il 2020 e il 2025, più della metà della popolazione mondiale vivrà in paesi dove non si raggiunge la soglia di sostituzione. Pochi anni ancora ed entro il 2030 si passerà dalla metà ai due terzi della popolazione mondiale che vivrà in paesi dove il numero medio di figli per donna è 2 o meno di 2. Siamo di fronte a una accelerazione della transizione demografica che porterà tutti i paesi del mondo, a eccezione di una dozzina di nazioni africane, sotto o a malapena sopra la soglia di sostituzione. Un risultato che sembra anticipare le previsioni di lungo periodo che danno la popolazione mondiale attestata attorno a una fecondità complessiva di circa 2 figli soltanto per la fine del secolo, quando la popolazione mondiale avrebbe già superato gli 11 miliardi.
Da qui al 2050 ci sono da aspettarsi scarti assai contenuti tra il minimo e il massimo che la popolazione mondiale può raggiungere
Dunque il popolamento del mondo, dopo aver conosciuto un formidabile e prolungato incremento – dovuto non, come si è già accennato, all’aumento della fecondità, che è invece passata negli ultimi quarant’anni da 3,87 a 2,47 figli per donna, quasi un figlio e mezzo in meno in media, ma alla spettacolare riduzione della mortalità, specialmente infantile –, sta entrando in una fase di crescita più moderata che potrebbe portare a un contenimento anticipato dell’aumento della popolazione per l’abbassarsi della fecondità femminile più marcato e ravvicinato del previsto? E’ una domanda, non una conclusione, nonostante le premesse possano farlo pensare. E infatti sempre la Population Division dell’Onu nella successiva nota population Facts n. 4, ancora dell’ottobre 2017, provvede a spegnere troppo facili ottimismi facendoci sapere che una relativamente giovanile struttura per età della popolazione mondiale, qual è quella che abbiamo oggi, con il 42 per cento della popolazione con meno di 25 anni, contribuirà di per se stessa al 43 per cento dell’aumento globale della popolazione da qui alla fine del secolo. Detto in altri termini, data questa sua giovanile struttura per età “una sostanziale crescita della popolazione mondiale nel rimanente XXI secolo è pressoché inevitabile”. Ma questa crescita sostanziale non è detto che approdi agli 11,2 miliardi previsti per la fine del secolo. Anzi, considerando che il numero medio di figli per donna mostra, rispetto alle previsioni, segni di cedimento più consistenti e in un maggior numero di paesi è legittimo aspettarsi una popolazione per la fine del secolo inferiore a 11,2 miliardi. Del resto, le previsioni a più lungo periodo hanno margini di fluttuazione, le cosiddette “forchette”, tali da contemplare anche possibilità di questo tipo, e se la previsione al 2050 oscilla tra 9,4 e 10,2 miliardi, quella della fine del secolo ha un’oscillazione ben più ampia, compresa tra 9,6 e 13,2 miliardi di abitanti. La partita, potremmo dire con altre parole, è chiusa per quel che riguarda il 2030, quando ci attesteremo comunque vada attorno a 8,5 miliardi di abitanti, assai moderatamente aperta per quel che riguarda il 2050, ma ancora piuttosto aperta, e dunque da giocare, per quel che riguarda la fine del secolo. al momento, questa è la conclusione ultima, per la fine del secolo è più probabile uno scostamento al ribasso che al rialzo rispetto alle previsioni.
Tutti i continenti, esclusa l’Ue che ha messo in campo forti politiche nataliste per cercare di risalire la china del numero medio di figli per donna, hanno visto ridursi la loro fecondità nei dieci anni che intercorrono tra i quinquenni 2000-2005 e 2010-2015 (Africa compresa, dov’è scesa da 5,1 a 4,7). Né si prevede che questo processo, come si è appena detto, cesserà di verificarsi nei decenni a venire. Ma il popolamento che verrà non è influenzato soltanto dai livelli di fecondità e di mortalità (e dagli stessi flussi migratori tra aree a diversa fecondità e mortalità del mondo) ma anche dalla struttura per età della popolazione del mondo attuale e questa struttura, che è giovanile per la forte contrazione della mortalità nelle classi inferiori d’età verificatasi in particolare nei paesi a più alta fecondità, determinerà di per sé gran parte dell’aumento di popolazione dei prossimi decenni. Tant’è che da qui al 2050 ci sono da aspettarsi scarti assai contenuti tra il minimo e il massimo che la popolazione mondiale può raggiungere. Rispetto alla fine del secolo, invece, il condizionamento della struttura attuale della popolazione è molto meno stringente, più blando. E allora occorrerà vedere come andranno le cose; qualcosa si può pure fare per cercare di contenere, se non nel futuro immediato, almeno in quello più distante il popolamento del mondo. I segni di una tale possibilità sembrano esserci.
Di quanto questo popolamento possa essere contenuto è ancor più difficile dire, ma sarebbe del tutto incauto pensare che ci fermeremo sotto la soglia dei 10 miliardi alla fine di questo secolo. Forse potremmo non arrivare a 11 miliardi, superare i 10 ma non arrivare agli 11. Sempre che, per allora, riusciamo a perseguire le politiche giuste, non certamente soltanto demografiche, per contenere la popolazione dove bene sarebbe contenerla e magari incrementarla dove bene sarebbe incrementarla. Il risultato per la fine del secolo non è ancora segnato nel suo preciso punteggio, lascia ancora possibilità e spazio all’azione degli organismi internazionali e dei governi dei paesi del mondo.
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