I nuovi influencer sui social sono animali e bambini, ma loro non lo sanno
Dal riccio Pokee al settenne Ryan. Ecco chi sono i Re Mida del web che fatturano milioni con i loro follower
Come Brigitte Bardot, solo con lo smartphone in mano. L’ossessione per gli animali, la stessa che ha spinto l’attrice a trasformare La Madrague in un rifugio vista mare, ha preso possesso di Instagram. Di Twitter, di Facebook. Di qualsiasi avamposto social, sul quale una foto possa fruttare denaro. Accanto agli influencer propriamente detti, alle Chiara Ferragni, capaci di pagarsi da vivere con una story sponsorizzata, sono fiorite piccole, e pelose star. Cani e gatti assurti a icone del web, ricci prezzolati, anatre da 12 mila follower. Il New York Times li ha battezzati “pupfluencer”, legando le ragioni del loro successo a due fattori principali. Da un lato, gli animali, siano domestici o meno, si portano appresso una certa autenticità: un legame con il mondo naturale, bucolico che la vita di città sembra aver reciso. Dall’altro, i cuccioletti riescono a infondere un poco di felicità in chi li guarda. Specie se acchittati come esseri umani, con tanto di tutine e scarpine.
Mr. Pokee, riccio del Nord Europa, ha la lingua penzoloni e un sorriso sdentato. La sua padrona, che alla creaturina ha dedicato un profilo da 1,1 milioni di affezionati, se lo porta appresso ovunque vada, coprendolo all’occorrenza con calzette e cappellini. Pokee ride, nelle foto, le zampe allargate in un abbraccio virtuale. E ridono, o così pare, i Prissy_Pig, maiali della Florida tra i cui fan, 688 mila in totale, si conta anche la figlia di Mick Jagger, Georgia. Chi non ride, ostentando, invece, miagolii lamentosi, è il piccolo JustMangoBrown, un gatto del Bengala il cui “papà umano” ha accumulato 338 mila follower a suon di baci e paroline dolci. Mango, il cui pelo maculato ricorda quello del leopardo, si presta, pigramente, ai giochi dell’uomo, lasciandosi agghindare come Superman e vendendo strusciamenti alla fotocamera. Cosa, questa, piuttosto redditizia. Secondo le stime di MarketWatch, un animale che abbia, su Instagram, più di 20 mila follower può ambire a guadagnare circa 200 euro per ogni post sponsorizzato. Tremila, invece, se i fan sono compresi tra i 150 e i 200 mila. E più cresce il monte seguaci, più crescono le cifre, dando di che vivere a padroni narcisi e animali antropomorfi, la cui ricchezza è in realtà nulla se paragonata a quella dei bambini, “pupfluencer” per eccellenza. I “cuccioli” umani sono ormai re Mida del web, capaci di trasformare in oro qualunque cosa le loro manine appiccicose tocchino, sia pure un giocattolo. Ryan, americano di sette anni, ne è l’esempio lampante. Il bimbo, secondo Forbes, ha fatturato in un anno 22 milioni di dollari, facendo quel che meglio gli riesce: il bambino. Su YouTube, i genitori gli hanno intitolato un canale personale, Ryan Toys Review. Poi, gli hanno dato in mano qualche nuovo giocattolo e lo hanno filmato mentre ne stracciava la carta, strabuzzava gli occhi sui libretti di istruzioni, maneggiava pupazzi e dinosauri in plastica.
Il risultato è valso 17 milioni di iscritti, (quasi) 26 miliardi di visualizzazioni complessive e un indotto annuo degno di Hollywood. Ma Ryan, e come lui i bambini di Instagram, le Coco_Pinkprincess e le Yoshidoll, della popolarità se ne fa poco. Forse, nemmeno si diverte, bersagliato com’è dal fuoco polemico delle associazioni per l’infanzia, certe che dietro il successo social ci sia un fenomeno di bieca mercificazione. Roba che i genitori negano strenuamente. Perché, tutto sommato, un tale guadagno val bene qualche bugia.
generazione ansiosa