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Il governo del cambiamento ha abrogato l'ironia

Francesco Cundari

Una delle prime avvisaglie del carattere antidemocratico del populismo è la sua incompatibilità con qualsiasi forma di ironica leggerezza

Dopo appena sei mesi di governo gialloverde, basta accendere la tv o aprire un giornale per capire che non è morta solo la pietà. L’ascesa del populismo al vertice delle istituzioni ha prodotto infatti almeno un’altra illustre vittima, abrogata in un lampo come la peggiore di tutte le eredità dei governi precedenti: l’ironia. Ed è una grave perdita, perché l’ironia – proprio come la pietà, e come la tolleranza, di cui è parente stretta – è una virtù cardinale della democrazia.

 

Se la tesi vi sembra troppo forte, possiamo darne subito una conferma sperimentale, utilizzando due dichiarazioni comparse martedì su Twitter, più o meno nelle stesse ore. La prima: “Bene intervento su Carige. Ora nazionalizzare. Ma basta ipocrisie: con stessi strumenti e soldi dei contribuenti, quelli di prima salvavano i banchieri, Matteo Salvini e Luigi Di Maio salvano risparmiatori e lavoratori”. La seconda: “Sia chiaro a tutti: è finita l'epoca dello Stato al servizio dei banchieri, degli interessi di pochi, dei politici asserviti che la mattina regalavano soldi pubblici per salvare gli amici banchieri e la sera azzeravano i risparmiatori. È finita quell'epoca, per sempre. Loro salvavano le banche, noi tuteliamo i risparmiatori”.

 

Esercizio: sapete individuare la differenza? Aiutino: una delle due dichiarazioni è ironica, l’altra no (almeno non volontariamente). Una è infatti di Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali. L’altra è di Carlo Sibilia, deputato del Movimento 5 Stelle. Riuscite a distinguerle?

 

Se non ci riuscite, non fatevene una colpa. Il fatto è che il populismo di governo ha in pratica esteso all’intero dibattito pubblico quella che era un tempo una caratteristica tipica dei dibattiti sul web, nota come legge di Poe: “Le parodie dell’estremismo sono indistinguibili dalle autentiche manifestazioni di estremismo” (legge formulata per la prima volta nel 2005 da tale Nathan Poe, a proposito delle incomprese parodie dei sostenitori delle teorie creazioniste, e successivamente estesa a ogni forma di estremismo, religioso o politico).

 

Una delle prime avvisaglie del carattere antidemocratico del populismo, infatti, è proprio la sua incompatibilità con qualsiasi forma di ironica leggerezza: ogni aspirante duce è sempre, prima di tutto, un Truce (e spesso, purtroppo, anche un trucido). Tanto più in Italia, dove di partiti populisti abbiamo la sfortuna di averne addirittura due, le cui divergenze sono però puramente tattiche e contingenti, mutevoli come le loro promesse elettorali, di fatto perfettamente intercambiabili, come le posizioni dei due vicepremier, del presidente del Consiglio e di tutto il governo. Dove è sempre più difficile capire una volta per tutte a chi spetti il ruolo del Buono e a chi quello del Cattivo (sul Brutto avremmo una tesi, ma ce la teniamo), chi sia il Truce e chi il Trucido.

 

Il dato di fatto è che la crescente assurdità del dibattito, la sua radicalizzazione e insieme la sua costante riduzione a lite da asilo, rende ogni forma di ironia semplicemente impossibile. Perché è ormai venuto meno quel minimo comune patrimonio di principi, modi di fare e di parlare e di stare al mondo, che permetteva un tempo di esprimersi anche in modo paradossale, confidando nel fatto che i propri interlocutori non avrebbero avuto difficoltà a decifrarne il senso. Non è più così. Nell’attuale dibattito pubblico, l’ironia è un geroglifico indecifrabile, muto disegno, inutile reperto di una civiltà sepolta.

 

E così, secondo uno schema tipico della legge di Poe, poche ore dopo il suo primo tweet – sommerso dall’indignazione di chi aveva equivocato – Fassina è tornato a twittare: “Su #Carige mi pare dai commenti che l’ironia non era chiara. L’ipocrisia è di @matteosalvinimi e @luigidimaio”. Gli ha risposto Osho (la parodia, non quello vero): "‘M'hanno hackerato il profilo’ era più credibile”.

 

Resta solo da capire, a questo punto, se non fosse ironico anche il tweet in cui, all’indomani dell’accordo con l’Ue sulla manovra, Fassina confessava “delusione e rabbia” ai colleghi leghisti Borghi e Bagnai: “Ho messo la faccia e ricevuto insulti da mie fila per sostegno a Piano Savona e manovra espansiva. Con la resa di @matteosalvinimi e @luigidimaio arretriamo anche rispetto ai Governi Pd”.

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