Ecco l'Eurogender linguisticamente corretto
Le linee guida Ue per un linguaggio neutrale e la finta unità che nasce dall’annullamento delle diversità
Eccoci ci risiamo, questioni di genere, di nomi, di linguaggio. Non contenta di essere bollata da metà della popolazione europea come un ente burocratico e autoreferenziale, l’Unione europea fornisce dopo lungo lavoro di commissione le decisive linee guida per un “gender neutral language”, un linguaggio di genere neutrale, da usare per ora all’interno del Parlamento europeo. Le linee guida servono per togliere la discriminazione di genere dal linguaggio, informandoci che i nostri linguaggi europei sono quasi tutti sbagliati, violenti e discriminatori. “Quasi”, perché in effetti il finlandese, l’estone e l’ungherese sono già liberi dai cattivi retaggi della distinzione tra genere maschile e femminile che affligge le arcaiche lingue romanze e, un po’ meno ma sempre in maniera riprovevole, il tedesco e l’inglese. Niente paura, i vizi saranno corretti.
Per quanto riguarda le prime, le lingue romanze, dalle quali proprio non si riesce a estirpare la declinazione di genere, si accetta – come rimedio non ideale e provvisorio – la femminilizzazione di titoli e professioni, che tanto piaceva alla ministra Fedeli. Per quanto riguarda l’inglese, lingua veicolare di molte pratiche dell’Unione, si tratta invece di difetti minori ma comunque urgenti da trattare: eliminare le orride parole come “fireman” (pompiere) che contengono chiari riferimenti a discriminazioni di genere e sostituirle con parole neutre come “firefighter”, sostituire arcaiche parole legate al genere come hostess e steward con titoli neutri come “flight attendant”. Nulla da fare invece per “fisherman”, per cui le linee guida si rammaricano di non aver trovato ancora un sostituto valido. Suggerirei fishcatcher, ma ho paura che poi il “catch” sia legato in qualche modo a termini di violenza che saranno eliminati dalle prossime linee guida. Approvazione e applausi per l’abolizione già avvenuta del francese “mademoiselle”, primo passo verso l’auspicata finlandizzazione o estonizzazione del linguaggio.
Quel tratto orwelliano
Già si era osservato rispetto alla più modesta proposta nostrana della ministra Fedeli che i linguaggi non si cambiano per editto ma per uso. Si dovrebbe aggiungere forse in questo caso che è proprio questo genere di editto, emblematico di un intero atteggiamento di centralismo burocratico, che fa infuriare mezza Europa che è legata e persino orgogliosa – poveretta – delle proprie tradizioni, storie, lingue locali, modi di dire, proverbi. Tuttavia, mi vorrei soffermare un attimo sull’incipit filosofico del discorso. La commissione incaricata di redigere l’editto si premura di dirci che non si tratta solo di rispetto per il politicamente corretto, ma che “il linguaggio riflette e influenza atteggiamenti, comportamenti e percezioni”. Il ragionamento è che si deve correggere il linguaggio per correggere la mente. Pur tralasciando il tratto orwelliano di un’operazione tipica dei dispotismi – cambiare le parole in modo che la realtà venga percepita in maniera diversa – il problema maggiore è proprio nel tipo di cambiamento che si vuole imporre. Per evitare discriminazioni, infatti, occorre ottenere neutra uniformità. Invece che dire che l’unità vera e profonda nasce dalla capacità di accogliere, amare, rispettare la diversità, l’Unione ci educa a capire che l’unità si fa distruggendo la diversità. Dunque, certamente il linguaggio influenza il pensiero e non possiamo pensare oltre il linguaggio, eccetto forse che in esperienze mistiche, ma nel linguaggio, come diceva Leopardi, noi fissiamo le nostre idee come gemme in un anello e “il posseder più lingue dona una certa maggior facilità e chiarezza di pensare seco stesso” (Zib 95).
Il problema dell’editto linguistico è che pensa di cambiare il valore delle gemme uniformandone le montature, cioè pensa di cambiare le idee delle persone e il loro rispetto o meno della ricchezza della diversità uniformando le parole e di correggere la diversità delle lingue immiserendone la storia. Così facendo ottiene solo complicazione e confusione, l’opposto di ciò che Leopardi indicava come pregio della capacità di fissare le idee in parole e di avere tante lingue, una delle enormi ricchezze d’Europa che, a continuare così, finiremo con il buttare via.