I commentatori da social si sono presi la politica, e adesso pure Instagram
Il potere dell’immagine è diventato subalterno a quello del commento, ma è un algoritmo che seleziona gli interventi più importanti e gli dà visibilità
Roma. Datevi pace e smettetela di ingegnarvi a far foto al tramonto, al dolce, al gatto, al cane, al gatto accoccolato sul cane. Non serve. Non le guarderà nessuno, uguali a milioni di altre come sono. Su Instagram non valgono più le foto, ma i commenti. E’ con quelli che si esercita l’influenza, s’attraggono seguaci, si creano community, si architettano azioni di disturbo politico. Il potere dell’immagine è diventato subalterno a quello del commento. Non ci interessa la foto ma quello che suscita, le interazioni possibili nello spazio a essa sottostante, nuova part construens del social. Notatelo (si vede bene sui profili più seguiti): sotto una foto, subito dopo la didascalia, appare sempre il commento di un qualche famoso. Sotto il selfie di Elisa Isoardi e Matteo Salvini, dopo l’indimenticabile didascalia con citazione di Gio Evan, ci sono 16.124 commenti, e il solo in vista è il “Cara Elisa, Chapeau” di Simona Ventura. L’account instagram @commentsbycelebs conta un milione di seguaci e raccoglie i migliori commenti delle celebrità alle foto di altre celebrità: chi lo ha creato sa che dei Ferragnez interessa cosa si dice molto più di cosa si vede.
A selezionare e dare visibilità agli interventi più importanti provvede un algoritmo di cui il social si avvale dallo scorso anno, cioè da quando, osserva l’Atlantic, Instagram ha migliorato la qualità delle conversazioni, inserendo i commenti concatenati (come quelli di Facebook: puoi aggiungere un commento a un post oppure commentare un commento, creando così uno e più sottoinsiemi di conversazioni che poi procedono per conto loro e smettono presto d’avere a che fare con il post, o la foto, e spesso finiscono con almeno un paio di commentatori che s’accordano su dove andare a bere un gin tonic, o fondano un gruppo d’ascolto per traumatizzati dall’algebra, o progettano rivolte contro le case farmaceutiche perché a mio cugino non piacciono più i Beatles da quando ha fatto il richiamo dell’antitetanica).
Il commento è un intervento, quindi anche un’appropriazione. Prima guardavamo i post di Chiara Ferragni e ci cliccavamo sopra per esprimere gradimento, ora scriviamo cosa ne pensiamo e abbiamo il potere di spostare la conversazione, se siamo abili, dal soggetto del post a noi stessi, oscurando l’immagine, rendendola nient’altro che un accidente. Il campione italiano di questa mirabile arte è Gianmarco Tocco alias Blurs7, un gamer che scrive “Ugo” sotto le foto degli influencer, dirottando l’attenzione dalla foto condivisa a lui che l’ha commentata (ma che vuol dire, e chi è Ugo, hai mai letto Foscolo, hai mai visto un Fantozzi, e tu chi sei, e perché lo fai?). La cosa gli è valsa un articolo su Vanity Fair.
I commentatori si sono presi Instagram. Qualche anno fa si presero i giornali e le redazioni ancora tentennano: chiudiamo i commenti agli articoli o no? The Verge, un paio di estati fa, lo fece e scrisse: cari lettori, scusate, ma i vostri commenti ci feriscono e innescano in noi un meccanismo di autocensura insopportabile.
Commentare è un esercizio d’influenza e un mezzo potente di manipolazione della realtà – e la realtà non è più un dato, ma una sorgente d’opinioni. Salvini è convinto di poter dominare questo mezzo: non manca mai, nelle didascalie delle sue foto, di spronare i commentatori. “Buon pomeriggio, amici! Io tra un po’ vi saluto dal Viminale, e voi che fate?”. E gli italiani: “Che bella camicia, Capitano! Mi dice la sua sulla cartellonistica altoatesina?”. Sono in aumento i “perché non pensa a lavorare?”, che se un giorno dovessero diventare la maggioranza, visto che il tenore dei commenti è anche un termometro del consenso, costringeranno Salvini a cambiare foto, stile, comunicazione, divisa, posizione, praticamente tutto.
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