Lo strano caso di Jussie Smollett e il vittimismo di professione
L’attore della serie “Empire” avrebbe organizzato un finto attacco contro se stesso, con tanto di aggressori pagati e di cappio al collo. Un disastro di finzione hollywoodiana e di piagnistei progressisti ben intenzionati
Serve una nuova parola per l’ipocondria da crimini sociali. È quello che sostiene un editorialista del New York Times Magazine a commento della bizzarra vicenda di Jussie Smollett, attore della serie tv “Empire”, che è passato da vittima a mitomane nel giro di poche settimane. Prima i fatti, o quel che sembrano tali. Smollett è stato aggredito da due uomini mascherati lo scorso 29 gennaio a Chicago. I due uomini pare lo abbiano riconosciuto per strada (“Non sei quel frocio nero di Empire?”), inseguito, gli avrebbero messo un cappio intorno al collo, lo avrebbero cosparso di candeggina, fratturato una costola e sarebbero scappati dopo avergli detto: “Questa è la nazione del Make America Great Again”. Ma forse non è andata così. Quel che conta è che molti ci hanno creduto prima ancora che iniziassero le indagini. Un segno dei tempi.
L’aggressione è diventata un caso politico. Da una parte Smollett, un nero dichiaratamente omosessuale, dall’altra due presunti suprematisti bianchi pieni d’odio. I media si dividono, le opinioni si polarizzano. Si litiga su Twitter, ci si blocca. Da una parte i conservatori e i liberali sollevano dubbi (due uomini che girano con la candeggina e un cappio alle due del mattino alla ricerca di un nero?), Smollett suggerisce una rappresaeglia per dei suoi tweet antitrumpiani, ma la tesi non li convince (non è così autorevole o rappresentativo), e invocano prudenza nei giudizi. Dall’altra parte, le personalità vicine alla sinistra si schierano in favore di Smollett in modo incondizionato (o contro Donald Trump, in modo incondizionato). La senatrice democratica Kamala Harris parla di linciaggio, Nancy Pelosi di un affronto all’umanità, Alexandria Ocasio-Cortez critica i media per la precauzione usata nel descrivere il caso come “possibile hate crime”, perché per lei lo è senza alcun dubbio; il comico Billy Eichner scrive che vuole vedere Trump e i suoi sostenitori squilibrati bruciare all’inferno. Insomma, a un mese dal caso dei teenager di Covington, accusati di aver molestato in piazza un nativo americano – indossavano dei cappelli Make America Great Again: tanto bastava a considerarli dei mostri senza prove – siamo di nuovo di fronte a un caso in cui l’odio politico impedisce di valutare i fatti.
Perché poi, all'improvviso, la vicenda di Smollett si è rovesciata. TMZ pubblica le foto dei due sospettati, due fratelli nigeriani, conoscenti dell'attore (uno è stato per un periodo il suo personal trainer e l’altro ha lavorato sul set di “Empire”). I due sostengono d’essere stati pagati per prendere parte a una messinscena, riporta la Cnn. La polizia li rilascia e Anthony Guglielmi, capo della comunicazione del dipartimento di polizia di Chicago, dice che le indagini cambiano e che la polizia deve tornare a parlare con Smollett. Lui rifiuta un ulteriore incontro, e non si sa molto altro, tranne il consueto viavai di anonime poi smentite, gossip, false notizie. Alla fine esce fuori che Smollett ha orchestrato tutto. Da vittima è diventato un imbarazzante mitomane. A chi credere?
Two law enforcement sources with knowledge of the investigation tell CNN that Chicago Police believe actor Jussie Smollett paid two men to orchestrate an assault on him that he reported late last month.@RyanYoungNews reports: https://t.co/6CaJhCLUOm pic.twitter.com/EqZP0rR6it
— CNN (@CNN) 18 febbraio 2019
Qualsiasi esito avrà questa storia, ha ragione Kmele Foster, commentatore politico libertario, che durante un confronto sulla Cnn ha detto che i media hanno troppa fretta di giudicare e, nonostante fosse plausibile essere scettici, è difficile sollevare dubbi per via della natura dell’accusato. La fretta di rappresentare la base trumpiana come razzista, violenta e bigotta ha già portato i media a credere alla caricatura dimenticando i numerosi casi precedenti di false accuse. Precedenti raccontati per esempio nel libro di due sociologi, Bradley Campbell e Jason Manning, “The Rise of Victimhood Culture”, che descrive la cultura del vittimismo contemporanea. Oggi rivendicare lo status di vittima, anche attraverso accuse false, può diventare lotta politica. Scrivono gli autori che la credulità come lo scetticismo sono spesso motivati dalla partigianeria e dal tribalismo politico. In un’atmosfera di fervore morale può essere impopolare mostrare scetticismo o evitare di schierarsi in merito a certe vicende, rischiando di passare per razzisti o sessisti.
I crimini d’odio esistono, sono spregevoli. E seppur in aumento, (per fortuna) rimangono un problema circoscritto. Combatterli credendo a tutte le vittime ed esaltandole come fossero eroi rischia di allontanarci dalla razionalità e dall’imparzialità. Sull’onda dell’emozione si fatica a ricordare che il nostro giudizio può essere parziale, viziato, distorto. Il vittimismo non può essere una professione, valutare i fatti significa anche riconsegnare alla vittima di professione il ruolo di essere umano, con tutte le sue debolezze.
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