Il caso Sarti, tra ricatti e sessuofobia
E’ imbarazzante chiunque ritenga la sessualità fra adulti consenzienti argomento di ricatto
Usciremo dal Medioevo (chiedo scusa al Medioevo per il paragone offensivo, fossi in lui non vorrei mai essere confuso con tanta sessuofobica contemporaneità) la prima volta che un essere umano adulto si preoccuperà per un altro essere umano adulto apostrofandolo così: un hacker è entrato nel tuo telefono e non ha trovato nessuna foto sconcia, sicuro che la tua vita sessuale sia in salute? E quello giustamente risponderà: ma vedi di farti gli affari tuoi, quello che non faccio in privato sono fatti miei. Usciamo dal Medioevo se ricordiamo che chi condivide immagini o video intimi che coinvolgono o investono un’altra persona non sta detenendo un potere ma dichiarando di non averne nessuno, non sta mettendo in piazza la vulnerabilità altrui ma la propria. E se questa affermazione, così decisa, non riesce legittimamente a farla chi è coinvolto e travolto, tocca alla società dirlo a gran voce: lo sfigato sei tu, non la persona che vorresti sbeffeggiare o ricattare. Ho usato finora la neutralità: sotto ricatto sessuale finiscono uomini e donne, ma in questi giorni è la parlamentare Giulia Sarti a essere più esposta di altri, perciò a una più generale sessuofobia si aggiunge una certa misoginia (mai parola fu talmente usata a sproposito da farmi passare la voglia di scriverla, ma so ancora riconoscere quando è il caso di usarla: questo, per esempio). Secondo le intenzioni di chi ha diffuso foto intime di Sarti, l’idea che questa giovane politica abbia una vita sessuale avrebbe dovuto turbarci.
Certo, sarebbe stato lo stesso se Sarti fosse stata un uomo, ma senza la scia di un paternalismo che invece è legato al fatto che è una donna, quindi una poco di buono o, peggio ancora, un’ingenuotta (chissà perché un uomo che si fotografa il pisello è un predatore, una donna che si fotografa la fica un’ingenuotta).
Comunque sia, l’intenzione dei ricattatori era creare imbarazzo, e devo dire che io in effetti ne ho provato parecchio. Mi imbarazzano loro, innanzitutto. Mi imbarazza chi fa circolare foto di persone che non conosce, sentendosi un po’ protagonista di una vita che non è la sua. Mi imbarazza chiunque ritenga la sessualità fra adulti consenzienti argomento di ricatto. Mi imbarazza gente per cui il sesso è una notizia, mi imbarazza pensare alla tristezza delle loro vite e delle loro letture (non dico Erica Jong o Philip Roth, ma almeno la lotta pornografica dei greci e dei latini, quella si studia a scuola). Mi imbarazzano quelli che dicono: abbiamo ricevuto anche noi le foto ma non le abbiamo pubblicate, come fosse un atto eroico. Mi imbarazza chi esprime solidarietà a Sarti sentendosi in dovere di precisare che non condivide le sue idee, come se il codice penale fosse roba da far valere solo per chi ci sta simpatico o per quelli che vogliamo votare alle prossime elezioni. Mi imbarazza chi si indigna ogni cinque minuti senza mai fare tesoro delle volte in cui dovremmo essere distrutti per davvero, imparare da quello che è accaduto e non ripeterlo più: fra chi oggi non condanna questa vicenda magari c’è qualcuno che si indignò dopo la morte di Tiziana Cantone, tanto chi se la ricorda ormai, da quando l’indignazione ha sostituito la riflessione ogni giorno è il giorno della marmotta. Purtroppo nelle scuole non è ancora diventato obbligatorio “Giustizieri della rete” di Jon Ronson (Codice edizioni), che spiega il meccanismo della gogna contemporanea con la stessa chiarezza della Bibbia nell’episodio di Barabba e di Manzoni quando spiega di cosa è capace la folla, un testo fondamentale per comprendere che una delle strategie possibili per uscire dalla tempesta è dire a testa alta: sì, l’ho fatto, e allora? Attenzione, non spetta a chi è nella tempesta dirlo, spetta a noi. Qualunque cosa sia accaduta a un’adulta consenziente: e allora? Lo sfigato sei tu, non lei.
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