Leonardo era uno sciampista
Esperto anche di cosmetica, da Vinci sapeva già 500 anni fa che gli uomini preferiscono le bionde (e spiegava come tingersi). Una mostra a Bologna sul suo genio e la Bellezza
Solo da pochi anni, diciamo da qualche decina, le colorazioni per capelli hanno iniziato a tenere conto della differenza di fusto e del diverso grado di melanina presente negli infiniti gruppi etnici che formano l’umanità, facendosi dunque “inclusive” per usare un termine di moda, ma soprattutto dedicate, cioè rispettose delle differenze. Il tema del prodotto per tutti, che per tutti i primi due secoli dalla Rivoluzione Industriale esprimeva in realtà la logica e i desideri di un solo gruppo di riferimento, l’occidente bianco, è l’anti-tendenza più forte del momento.
Il rendering della mostra “Leonardo. Genio e Bellezza” organizzata dal 14 al 18 marzo da Cosmetica Italia e Accademia
del Profumo presso il Centro Servizi del Quartiere Fieristico di Bologna
Nei suoi studi di cosmetologia, fa riferimento non solo alle tinture e ai preparati schiarenti, ma anche alle diverse gradazioni di biondo
E’ dunque un segno storico molto significativo che nei suoi studi di cosmetologia, non ovvio ma abbastanza naturale derivato per chi aveva l’abitudine di macinare sostanze vegetali e minerali per ricavarne colori e pigmenti a fini pittorici, Leonardo da Vinci facesse riferimento non solo alle tinture e ai preparati schiarenti, ma anche alle diverse gradazioni di biondo ottenibile come il “veneziano”, il “fiorentino” o il biondo “alla napoletana”. Ancora più rilevante è che ne scrivesse certo di essere non solo compreso, ma di fare riferimento a un campo semantico e coloristico condiviso e comprensibile da un vasto pubblico. Pur nell’ottica limitata del mondo conosciuto all’epoca, le differenti inclinazioni, gradazioni e reazioni chimiche a un prodotto, ma anche al gusto, erano dunque prese in considerazione come per un lungo tempo successivo non è più stato.
Questa è una delle tante ragioni per cui la mostra “Leonardo. Genio e Bellezza”, organizzata dal 14 al 18 marzo da Cosmetica Italia e Accademia del Profumo in occasione della cinquantaduesima edizione di Cosmoprof Worldwide presso il Centro Servizi del Quartiere Fieristico di Bologna, meriterebbe di essere visitata anche da chi di bellezza e cosmetica non si occupa e non si ritiene impressionato dai numeri ragguardevoli della kermesse, cioè i tremila espositori e i circa duecentocinquantamila operatori attesi da 170 paesi, e che per evitare il sovraffollamento sono stati suddivisi per aree di interesse, competenza e giornate, in particolare nel settore del make up, della nail art e per l’appunto dell’hair styling su cui si esercitava anche Leonardo. Per questa edizione – molto orientata sul tema della sostenibilità, diventato valore e fattore economico dirimente tanto nei paesi occidentali quanto nel medio oriente, dove i trattamenti e i profumi halal, cioè privi di grassi animali e di alcol sono la regola e dove l’Italia gioca un ruolo dominante come produttore e esportatore – il presidente di BolognaFiere, Gianpiero Calzolari, a cui fanno capo Cosmoprof Worldwide Bologna e le sue tante declinazioni mondiali fra cui Las Vegas, Hong Kong e Mumbai per un fatturato complessivo 2018 di 80 milioni di euro e 7.500 aziende coinvolte, ha deciso di affiancare le molte celebrazioni dell’anno leonardesco con una mostra di divulgazione particolarmente seduttiva.
Alto, bello, arguto, da Vinci era un influencer spontaneo, molto amato da ambo i sessi, in anni in cui la bellezza era meno diffusa
Trovare il proprio interesse nell’immenso patrimonio dei codici leonardeschi, in effetti, è un esercizio inebriante. Chiunque siate, qualunque cosa stiate cercando di fare adesso, ingegneria, aeronautica, digitale, moda, pelletteria, calzature, pittura, per l’appunto cosmetica, sappiate infatti che Leonardo da Vinci l’aveva già immaginata cinquecento anni fa. Spesso il progetto era solo abbozzato, gli incompiuti e le lungaggini di messer Lionardo erano leggenda già all’epoca e fonte di rabbiose frustrazioni fra i committenti, ma nel frattempo il suo ideatore aveva occupato, con una logica molto moderna, la posizione e i benefici di immagine derivati (che fosse scaltro lo dimostra la lettera di presentazione non autografa con cui si presentò nel 1482 a Ludovico il Moro, in quegli anni interessato a espandere il territorio del ducato di Milano, e il curriculum quasi esclusivamente ingegneristico-militare che vi aveva allegato). Leonardo era abile nell’intuire anche le debolezze e le vanità altrui, prima fra tutte la capigliatura bionda, segno di bellezza ideale e paradigma estetico dell’amor cortese ancora in voga all’epoca e in buona parte, a ben vedere, anche adesso: le sue osservazioni e i suoi consigli per “fare li capelli di neri gialli” rappresentano una parte dei documenti sui quali ha lavorato la curatrice dell’esposizione Maria Pirulli, ricercatrice leonardesca e già autrice di un saggio sulla “Vergine delle rocce” come chiave di lettura del linguaggio vinciano.
Scritti e appunti provengono perlopiù dal Codice Atlantico; vi sono affiancate riproduzioni annotate e commentate dei dipinti leonardeschi, oltre alle tante osservazioni delle belle e potenti dell’epoca sulla bellezza e la cura di sé, prime fra tutte lsabella e, pur nei pochi anni della sua posizione di first lady milanese, Beatrice d’Este, cioè le due sorelle Bouvier dell’epoca: belle, ricche, vestite di sete e gioielli e copiatissime, la prima soprattutto. Le corti d’Europa se ne contendevano i ritratti per rubarne indicazioni di montaggio delle acconciature più sofisticate: negli ultimi anni del Quattrocento il coazzone, la coda stretta e infilata nel “trenzado”, la guaina che compare anche nel ritratto dell’amante di Ludovico, Cecilia Gallerani “dama dell’ermellino”, e successivamente della capigliara, l’acconciatura di nastri di seta e posticci con cui la duchessa di Mantova è arrivata fino a noi ritratta da Tiziano, con una splendida cascata di ricci biondo lagunare sulla fronte. Delle tante gradazioni di biondo di moda nel Rinascimento, solo il “veneziano”, gradazione vicina al rosso o al rubeus latino trasferito pari pari alla lingua spagnola, è ancora noto, e di certo per via della pittura veneta.
Immaginiamo che il “fiorentino” si avvicinasse alla tinta cenere dei capelli di Simonetta Vespucci, la musa di tutti e in special modo dell’amico di imprese giovanili di Leonardo, Sandro Botticelli. Sul gradiente partenopeo del biondo ottenibile con la dovuta esposizione al sole e i terrificanti intrugli fai-da-te dell’epoca, sempre a base di urine animali per via dell’ammoniaca che contengono (andate a guardarvi le incisioni del “De li habiti antichi et moderni”, il trattato di moda e costume del cugino di Tiziano, Cesare Vecellio, per osservare le tese e i cappellini bucati modello mèches anni Sessanta che le ragazze veneziane si calcavano in testa prima di esporsi al sole sull’altana nell’obiettivo di farsi bionde conservando però la pelle candida) dovremmo un po’ tirare a indovinare, dunque ci asteniamo.
Sperimentava le tecniche per ricavare “profumi soavi”, prime fra tutte la distillazione dei fiori e l’enfleurage, l’estrazione a freddo
E’ comunque singolare che, mezzo millennio dopo la morte di Leonardo, la cosmetica stia tornando a quello che gli organizzatori di Cosmoprof definiscono un “approccio green” e che, nello stesso settore della cosmetica e delle cure per capelli si vada sperimentando, anzi che sia diventato protagonista il colore semipermanente che le donne rinascimentali ricercavano con ogni mezzo, certamente invidiose dei mezzi economici grazie ai quali le dame di corte potevano permettersi tinture non troppo invasive e toupet imponenti di capelli veri (l’altro prodotto su cui gli espositori del Cosmoprof stanno puntando molto è uno scalp oil che si sciacqua con un terzo dell’acqua usata dai normali shampoo, dal packaging primario in polimeri interamente riciclati). Leonardo, sedotto dal potere come tutti gli artisti, delle signore di casa d’Este ammirava le grazia, l’inventiva e anche le innovazioni più ardite nella moda, non ultima quella di indossare le mutande, i calençon (in una divertente lettera a Baldassar Castiglione, Isabella racconta dello sprofondamento del palco dove si trovava insieme ad altre signore ad assistere a uno spettacolo, le quali “fecero un bel vedere che erano senza calzoni; noi per fortuna li avevamo”).
Cosmoprof, l'evento internazionale più importante nel settore della bellezza professionale è a Bologna dal 14 al 18 marzo
Alto, bello, arguto, Leonardo da Vinci era un influencer spontaneo, molto amato da ambo i sessi, in anni in cui la bellezza era certamente meno diffusa di oggi a causa di alimentazioni carenti o, per i nostri standard, squilibrate. L’occasione delle celebrazioni leonardesche è stata uno spunto utile per Cosmprof perfino nella sua nuova impostazione attenta alla salvaguardia dell’ecosistema, del riciclo e dell’utilizzo di energie rinnovabili, se si pensa che Leonardo, pur attratto dal lusso e dallo sfarzo, come molti suoi contemporanei riteneva lo spreco immorale e, in questo caso a differenza loro, era noto per l’abitudine di acquistare e liberare gli uccelli e i piccoli animali ingabbiati ed esposti per la vendita al mercato. Questo, insieme con l’affermazione, non si sa quanto apocrifa, sul felice tempo futuro in cui non si sarebbe dovuto uccidere gli animali per nutrirsi, ne fanno il campione mondiale degli animalisti e dunque personaggio quanto mai halal. A questo ortoressico ante litteram che si sarebbe ben guardato dal nutrirsi della stessa carne rossa che invece mangiava con voracità il rivale Michelangelo e che si lucidava e sbiancava le unghie con un preparato, ça va sans dire, di sua composizione (aveva la fissa del bianco anche nella cucina e adorava la zuppa di mandorle), le dame della corte degli Sforza e le loro corrispondenti si affidavano volentieri per consigli e ricette, certe di trovarvi un’anima complice e di gusto raffinato. Lettere e documenti dell’epoca lo evocano con i capelli lunghi impomatati, una corta pellegrina rosa sulle spalle toniche (Leonardo era agilmente omosessuale, ma la tinta non era ancora diventata espressione cromatica di effeminatezza, come sarebbe accaduto solo dal Novecento) e una attenta cura dell’igiene e del corpo, pratica non specialmente diffusa, in particolare fra il sesso maschile.
Alla bisogna, e senza alcun dubbio quando non c’erano le dame del suo circolo nei pressi, poteva diventare anche davvero sconcio
Come Isabella d’Este e come molte altre regnanti, interessate ai profumi e a ricette esclusive che ne segnalassero la presenza e lo status attente alla profumazione, Leonardo sperimentava le tecniche per ricavare “profumi soavi”, prime fra tutte la distillazione dei fiori e l’enfleurage, la pratica di estrazione a freddo tramite solvente dell’essenza di fiori delicati come le violette, le tuberose, i gelsomini. Era, insomma e come veniva chiamato, un “mago”, dalla definizione persiana del sapiente e del sacerdote. Un genio delle pratiche scientifiche e anche esoteriche. Ma non per questo un santo o, peggio, un santino. Alla bisogna, e senza alcun dubbio quando non c’erano le dame del suo circolo nei pressi, messer Leonardo poteva diventare anche davvero sconcio. Qualche tempo fa, in uno degli infiniti studi pubblicati in vista del cinquecentesimo anniversario della morte, caduto insieme con tutte le leggende sul suo ristorante e sulla morte avvenuta fra le braccia di Francesco I Valois, è stata mandata in stampa anche una delle sue barzellette, che riportiamo pari pari: “Una aveva i piedi molto rossi e, passandole appresso, uno prete domandò con ammirazione donde tale rossezza dirivassi; al quale la femmina subito rispuose che tale effetto accadeva perché ella aveva sotto il foco. Allora il prete mise mano a quello membro, che lo fece essere più prete che monaca, e, a quella accostatosi, con dolce e sommessiva voce pregò quella che ‘n cortesia li dovessi un poco accendere quella candela”.
La tradizione delle storielle sui Dom Bougre e sui frati dai lunghi cordoni è stata superata dalla caduta dell’Ancien Régime e dalla nazionalizzazione dei beni ecclesiastici seguita alla Rivoluzione Francese. Le ricette di bellezza di Leonardo sono invece ancora valide, a volerle sperimentare, al punto che, dopo l’esordio a Bologna, la mostra troverà una nuova collocazione temporanea presso il Museo Mocenigo di Venezia, restaurato negli anni scorsi da Pier Luigi Pizzi a grand frais grazie alla sponsorizzazione della famiglia Vidal. Verrebbe voglia di suggerire agli organizzatori di farle fare qualche altra tappa in Asia, dove Leonardo è venerato e dove Cosmoprof ha molti interessi e sta sviluppando collaborazioni importanti (lo scorso novembre, l’edizione di Hong Kong ha registrato un nuovo record di presenze, con 87.284 professionisti della bellezza provenienti da 135 Paesi e 3.030 aziende espositrici, in rappresentanza di 34 Paesi). Sarebbe naturalmente il caso di evitare la barzelletta, ma solo perché non fa più ridere.