Per il governo il matrimonio si riduce a un banale contratto
L'esecutivo vara gli accordi prematrimoniali e la privatizzazione del rapporto coniugale
Il 28 febbraio 2019 il Consiglio dei ministri ha approvato dieci disegni di legge di delega al governo per le semplificazioni e per le codificazioni di settore. Uno dei ddl reca la delega “per la revisione del codice civile”; fra le varie voci di revisione – dalla modifica delle successioni alla previsione di nuove tipologie contrattuali – una riguarda l’inserimento nel codice civile degli accordi prematrimoniali.
L’art. 1 comma 1 lett. b) indica come oggetto di delega “consentire la stipulazione tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi intesi a regolare tra loro (…) i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli”. Nella passata legislatura gli on. Morani (Pd) e D’Alessandro (FI) presentarono una pdl – la n. 2669 – che andava in questa direzione. Le differenze sono che: a) quella perlomeno si sottoponeva al confronto parlamentare, tant’è che poi non è stata approvata, mentre l’iniziativa dell’attuale governo sintetizza in poche battute una materia delicata e dirompente, espropriando Camera e Senato del necessario approfondimento; b) in quella gli “accordi prematrimoniali” erano volti unicamente “a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”, mentre la delega attuale riguarda, oltre ai rapporti personali e patrimoniali in previsione della crisi del rapporto, anche “i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli”. Quindi con la delega attuale gli accordi riguarderanno pure la fase fisiologica del matrimonio, non solo quel che accade al momento della separazione o del divorzio.
Se la precedente legislatura ha assestato colpi non da poco alle disposizioni sul matrimonio e sulla famiglia, con le leggi sul divorzio breve, sul divorzio facile, sulle unioni civili, con conseguente affievolimento normativo del legame sociale fondamentale, in questa legislatura – in controtendenza rispetto alla ricomparsa dello stato in alcuni settori dell’economia – si va verso la privatizzazione del rapporto coniugale: gli accordi prematrimoniali riducono il matrimonio a un contratto come tanti altri che, come per la somministrazione di un servizio, disciplina le modalità di conclusione prima ancora di iniziare, in un’ottica mercantilistica consacrata in clausole negoziali. Se il rapporto fra coniugi per tradizione non ha seguito questa logica, ed è stato qualificato in termini di status, è perché si fonda sulla garanzia costituzionale dell’eguaglianza giuridica e morale dei coniugi, con favore verso la parte più debole. Un assetto contrattuale del matrimonio farà inevitabilmente prevalere le differenze economiche e sociali, in linea con quanto accade ancora adesso in nazioni al cui interno le nozze seguono una serrata contrattazione all’insegna del do ut des.
Non basta. Quale sarà la sorte del matrimonio religioso con effetti civili? Sottoscrivere al momento delle nozze un patto prematrimoniale che disciplina la loro rescissione significa codificare una causa di nullità del vincolo canonico, con conseguenze gravi in termini di incertezza del tipo di matrimonio e di incremento del contenzioso. Quale considerazione avranno i minori, se i patti includono la disciplina dell’educazione dei figli prima ancora che nascano? L’educazione di un minore presuppone conoscerlo: non si concorda previamente a tavolino). Infine, estendendo i patti alle unioni civili (che riguardano pure persone dello stesso sesso), si dà per scontato che nell’unione civile same sex ci siano i figli: e così il cerchio è veramente chiuso. In epoca di crollo demografico, buon senso esige di incentivare il matrimonio e di sostenere la formazione di una famiglia. E comunque, se proprio di questo si deve discutere, il confronto avvenga in trasparenza, cioè in Parlamento: non in qualche stanza di ufficio legislativo, nel quale magistrati distaccati eserciteranno di fatto la delega, facendo diventare legge quello che qualche collega in servizio ha anticipato con sentenze “evolutive”.
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