Il BlockBuster dell'Oregon: l'ultimo dei Mohicani del noleggio
Il 31 marzo chiude definitivamente i battenti il negozio della catena in Australia e rimarrà una sola videoteca dello storico brand – dove le tessere sono fatte ancora a mano. Un bastione degli anni Novanta
C’è un’altra Fort Alamo pronta a passare alla storia negli Stati Uniti. Ma non è in Texas questa volta. È a Bend, nell’Oregon, là dove rimangono asserragliati centinaia di film in dvd e videocassette, tessere per il noleggio scritte a mano e commessi coraggiosi che inveiscono per i ritardi nella riconsegna; assieme a tanta nostalgia per gli anni ’90. Quando il 31 marzo a Morley, un sobborgo periferico di Perth in Australia, chiuderà definitivamente i battenti il penultimo punto vendita della catena Blockbuster, rimarrà solo Bend in Oregon come bastione dei cinefili che non hanno ceduto in tutto per tutto a Netflix e Torrent e cercano erranti un film da noleggiare.
Commedia o drammatico? Si chiedevano un tempo le giovani coppie di post-yuppies che ancora guardavano al sushi con sospetto e acquistavano a 35mila lire le VHS dei classicissimi Disney come il “Re Leone” per i loro bambini pettinati che sarebbero cresciuti a pane e pay tv, Tele+ prima e Sky poi. Altrove, tra gli stessi scaffali, gli adolescenti tutti t-shirt e scarpe griffate Nike sceglievano “American Pie” insieme agli altri grandi classici del filone demenziale della commedia americana per risolvere il primo pigiama party della loro vita. Gelati Häagen-Dazs, megapizze surgelate, i pacchi formato famiglia di popcorn, le bevande zuccherine e le caramelle gommose al gusto Cola andavano a completare la serata e arrotondare gli incassi già milionari. Era un tipico sabato americano, esportato e vissuto da milioni di persone in tutto il mondo.
Ai bei tempi delle videoteche, negli anni d’oro della produzione hollywoodiana con i film che passavano alla storia come blockbuster e che non sarebbero andati in onda alla televisione prima di un anno o due, c’era un unico modo per vedere o rivedere “Titanic” o “Indipendence Day”, ed era quello di infilarsi nelle distese di scaffali di ferro scuro che dividevano in corridoi centinaia di metri quadrati di una moquette di colore smorto.
Non troppo pendant con le celebri e sfavillanti insegne blu e gialle – cromie che hanno dato vita a una leggenda quasi per dispetto. Quando la moglie del fondatore David Cook aveva deciso di investire tutti i loro risparmi nel mercato dell’home video infatti, la catena di negozi in franchise dalla quale avevano preso in gestione un punto vendita non era affatto d’accordo. Allora decisero di aprirne una tutta loro a Dallas, con i colori che volevano, e quel biglietto strappato da un lato come logo. Era il 1985 quando compivano il primo passo che li avrebbe portati a fondare la più imponente catena di vendita e noleggio di home video e videogiochi della storia.
Adesso però, a 33 anni da allora, la catena che sotto la Viacom – che l’acquistò per 8,4 miliardi di dollari – raggiunse il suo apice con oltre 9.000 punti vendita di 25 Paesi e 84.300 dipendenti in tutto il mondo nel 2004, ha una sola possibilità di non sparire dalla faccia delle terra dopo l’annuncio di bancarotta nel 2010 seguita da definitivo fallimento del 2013 e dalla progressiva scomparsa di punti vendita che ha portato a soli 9 negozi superstiti nel 2016, (l’ultimo in Italia, a Milano, chiudeva già nel 2012). Ne erano rimasti solo 4 lo scorso anno, per poi ridursi a due, dopo la chiusura Anchorage e Fairbanks in Alaska nel 2018 e lasciare a Bend il primato di resistenza.
Questo baluardo di fatto è fortemente legato alla posizione quasi “strategica” che rende l’ultimo punto vendita dei 4.800 che coprivano gli Stati Uniti un’oasi distante dalla fibra ottica, che non permette ai suoi abitanti di scaricare file da internet con facilità o di poter contare su una connessione veloce che garantisca Netflix, Amazon Prime Video, alcun tipo di on-demand on-line o di streaming, legale o illegale che sia. Come ha scoperto il New York Times infatti, nella remota Bend dell’Oregon, l’ultimo bastione della Blockbuster resiste e persiste perché i suoi 4.000 clienti affezionati non avrebbero atri modi di guardare i loro film preferiti comodamente a casa loro.
La direttrice Sandi Harding l’ha definita “pura testardaggine” che sta venendo ripagata dal “fattore nostalgia” e dal fatto di essere già stati annunciati al pianeta come “The Last Blockbuster in America”.
Il punto vendita di Bend, prima di essere trasformato in un negozio della catena nel 2000 era già una videoteca da 8 anni; di quelle che spesso rimanevano aperte fino a mezzanotte, dove gli ultimi nati della generazione X e i pionieri della generazione Next, s’incontravano e si appassionavano al cinema, dove si godevano le loro prime scorpacciate di libertà nei week end, e dove noleggiavano il film che sarebbe diventato il pretesto perfetto, quanto romantico, per trascorrere la loro prima notte insieme.
A Bend, nel centro commerciale dove resistono gli ultimi mohicani del noleggio, i turisti iniziano a fare tappa di pellegrinaggio, per scattare selfie, acquistare gadget come felpe e adesivi, birra brandizzata e cappellini marchiati, solo per poter dire "io c’ero”, io ci sono stato. Queste poche decine di dollari investite in un souvenir danno ossigeno ad un’attività schiacciata dalle pretese del presente, che può puntare solo sul fascino del passato per trovare una via per sopravvivere in un futuro fatto di algoritmi elaborati per suggerirci cosa guardare, e film abbandonati nel dimenticatoio che scompariranno nella memoria.
Se la leggenda di Blockbuster è nata perché le alte sfere della piccola e sconosciuta catena Video Works non piacevano il blu e il giallo, la sua morte e quella del mercato dell’home video é stata pianificata nel lontano 1997 dal veterano della Silicon Valley Reed Hastings, fondatore di Netflix che non riuscì mai a rassegnarsi a quella fatidica multa di 40 dollari impostagli da un anonimo commesso di un Blockbuster per aver restituito in ritardo una videocassetta di “Apollo 13”. Houston, qui la nostra inguaribile nostalgia ha un’altro problema.
generazione ansiosa