Greta Thunberg entra in Senato

Contro i sanculotti dell'ambientalismo

Giuliano Ferrara

La retorica ecologista aveva fatto un balzo in avanti, nutrita dell’ideologia dei ceti dirigenti pronti a spacciarsi come salvatori del pianeta. Ora la fase è molto diversa e il disprezzo sociale si rovescia contro chi lo bandisce e lo pratica. Ecce Greta

Perché le istituzioni somme, dal Papa al Senato, e molte altre in Europa e nel mondo, si piegano con Greta al nuovo mito infantilizzante e profetico della casa che brucia, una nuova ma piccola storia di pulzelle, voci, e miracoli? Le classi dirigenti riunite nel Grande selfie della salvezza ecologica, a vantaggio di telecamere e di folle incantate da treccine e balbettamenti apocalittici, hanno una spiegazione. L’ha trovata il solito Marcel Gauchet, un osservatore indipendente e implacabile della storia del suo paese, la Francia. La riporto com’è, e le connessioni sono a cura di chi scrive.

  

Gauchet in un saggio su Le Débat non parla di Greta ma dei gilet gialli, e non parla della soppressione dell’Ena, la grande scuola dei funzionari e dei tecnocrati, ma si riferisce al suo contesto: uno sviluppo fondato sull’egualitarismo, sul conservatorismo e sullo stato-nazione si è rovesciato nel suo opposto, cioè l’elitismo, il riformismo e il mondo senza frontiere. Gauchet va alla radice del fatto, l’insurrezione di stampo automobilistico che ha sconvolto con i suoi rond-points e la sua rabbia di assalti e blocchi stradali la dinamica del potere nel cuore rivoluzionario dell’Europa, appaiandosi ai fremiti nazional-populisti che percorrono il mondo. Del fatto coglie la sostanza semplice e primaria, che la rivolta dei carburanti è come le rivolte della farina e del pane, e che tutto il resto, la periferia contro il centro, il popolo contro il potere delle élite, ha a che vedere anche con la trappola dell’ecologia.

    

Lo schema è essenziale e secondo me indiscutibile. L’ecologia è diventata un emblema del più tradizionale disprezzo sociale, vecchia inclinazione Ancien régime di una società francese che ha conosciuto i fasti orgogliosi della nobiltà e la risposta che dura nei secoli del sanculottismo, la cui forza di minoranza e radicalmente violenta è sempre stata il sostegno diffidente e aspro dell’opinione pubblica, spesso maggioritaria.

 

La retorica ecologista aveva appena fatto un grande balzo in avanti, nutrita com’era della sovrana ideologia di ceti dirigenti che volevano illustrarsi come salvatori del pianeta, e anche su quello puntavano per vestire di panni ardenti e colorati la globalizzazione di mercato e il progresso tecnologico dei centri urbani ben elettrificati, quando è stata presa d’incontro da popoli e regioni e situazioni sociali che ne hanno denunciato, appunto, il carattere altezzoso, nell’espressione di un nuovo disprezzo sociale. (Una città come Parigi, invasa dalle trottinette, dalle biciclette e dalle ciclabili, e dalla riduzione delle vie di scorrimento sulla Senna in parchi gioco e cammini pedonali, destinata a ristrutturarsi come inferno per le automobili e i trasporti pendolari, è un perfetto rimando e risvolto del quadro socio-politico dipinto da Gauchet).

   

Aerei e cargo della globalizzazione inquinano quaranta volte di più delle automobili e dei “dieselisti di base”, dice la trama dell’osservatore, e sono tassati sette volte di meno. Un mondo di sopra che si muove freneticamente e consuma energia ad altezze stellari impone al mondo di sotto, con i divieti di velocità e la tax carbone, e una forte colpevolizzazione propagandistica che punta alla rete del trasporto casa-lavoro, una dimensione sociale di emarginazione e di spossessamento politico. Pagate di più il carburante o cambiate l’auto, e accettate che per l’energia le grandi città metropolitane siano il faro del consumo, della ristrutturazione rinnovabile, degli investimenti tecnologici, e i piccoli e medi centri si rivelino delle discariche o giù di lì. E non osate disturbare i nostri loisirs, lasciate che orsi e lupi battano le aree selvagge e forestali per il bene della nostra idea di natura incontaminata e delle nostre passeggiate ecologiche nella terra da salvare (in effetti nei dibattiti macroniani la storia dell’orso e del lupo si ripeteva come protesta e rivendicazione di potere delle comunità contro le norme dello stato-ecologista).

     

La tax carbone e il divieto degli ottanta all’ora, mentre nel mondo e in Trumplandia si deregolamenta tutto e si irride il programma green dei democratici neosocialisti, sono state bandiere di insurrezione contro l’impero delle norme, appunto, e della centralizzazione come globalizzazione ecologista. Il capo della lista verde francese ha appena lamentato la difficoltà di trovare altro mezzo che l’aereo per gli spostamenti in campagna elettorale europea. Grottesco, no? Con la colpevolizzazione del jet, per noi italiani associata al divieto di correre in treno da Torino e dal nord nel centro dell’Europa, siamo entrati nella fase in cui il disprezzo sociale si rovescia contro chi lo bandisce e lo pratica. L’avete voluta la scorpacciata ideologica dell’ecologia? Ora pedalate. E lo scalpo dell’Ena ha tutta l’apparenza di un capro espiatorio per le trappole i cui i poteri dominanti sono caduti all’insegna della predicazione ecologista.

   

Ecce Greta. La speranza è che la ripresa possa venire, come avvenne con la riscossa di Giovanna d’Arco, da una bambina senziente che tutti ascoltano anche se non ha nulla da dire se non che la casa brucia, un banale procurato allarme.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.