L'ultima regina di Roma
Papessa sovranista. Vita e opere (religiose e no) di Marilù Gaetani d’Aragona, la force tranquille dell’Appia Antica. Il papà ambasciatore, New York, la fotografia, l’eredità delle principesse
Chi è dunque l’ultima regina di Roma? In una città che non brilla certo per industria o terziario, per trovare delle figure vagamente esportabili tocca guardare sempre là, alla vecchia aristocrazia. Roma Capitale, che vive nel casino perenne, ha sempre però prodotto delle cape della sua nobiltà di – come dicono le agenzie immobiliari – standing internazionale. Ha regnato Isabelle Colonna, ha regnato Ninni Pallavicini, dal suo palazzo di fronte al Quirinale.
Adesso è abbastanza chiaro che la sede non vacante è stata presa da Maria Luisa Gaetani dell’Aquila d’Aragona, più forse altri predicati vari. Tutti veri, va specificato, in una città che non è molto fiscale coi titoli, come con tutto. Piemontese, molto pia, Marilù alligna sull’Appia Antica o in un piccolo pied à terre a via Veneto, che percorre con piglio militare scendendo giù con un cagnolino nero in tinta coi pantaloni da carabiniera. Già presidente dell’Airc, l’associazione per la ricerca sul cancro, Gaetani è figlia di Massimo Magistrati, che fu il ragazzo d’oro della diplomazia italiana degli anni Trenta. “Io sono nata a Roma, ma noi veniamo da Cuneo”, dice la duchessa mentre si beve un succo di pomodoro nella decadenza di Via Veneto in un bar di grand hotel ormai dello Sport, dove alla parete un maxischermo illustra gli ultimi arresti di giornata.
Maria Ciano, sorella di Galeazzo, era bellissima, magrissima, molto chic: è stata la prima anoressica d’Italia
“Una delle prime cose che feci appena presa la patente fu cambiare la targa della macchina, perché nella Roma di quegli anni appena non pigiavi l’acceleratore al verde sentivo urlare a ogni incrocio: ahò, ma che sei de Cuneoooo”. L’imitazione è notevole, col vocione da Savoia Cavalleria e la bella faccia (“mi deve fare un profilo? Io ho un profilo da medaglione romano”). Mancanza di accento delle caste vere. Avete fatto il militare a Cuneo, come diceva Totò. “In realtà a Pinerolo, come tutte le famiglie piemontesi. Mio padre fece una rapida e veloce carriera durante il fascismo, poi con la liberazione venne processato come tutti e ricominciò dal grado più basso della carriera. Dimostrò che non s’era minimamente arricchito, restituì pure i regali di nozze, e divenne ambasciatore in un sacco di posti importanti”. Le nozze erano state con Maria Ciano, sorella di Galeazzo. Lei era bellissima, molto chic, andava continuamente a cavallo, completamente innamorata di sé stessa, ma non mangiava mai assolutamente niente, credo che sia stato il primo caso di anoressia conclamata in Italia”. “Poi lei morì e mio padre che era diplomatico a Berlino incontrò e sposò mia madre, tedesca, famiglia di armatori, e altro: mio bisnonno aveva fondato la Deutsche Petroleum, a Roma mia madre possedeva anche palazzo Wedekind, quello poi del Tempo. Mussolini a quel tempo non concedeva ai diplomatici di sposare straniere, soprattutto tedesche, avemmo un permesso speciale dal Re”.
Appurato che il boccon di pane non è mai mancato, arriva la fatidica domanda. Era molto fascio suo padre, duchessa? Sa che ci sono tanti manuali adesso che spiegano chi lo è e chi non lo è, come si fa a diventarlo. La duchessa sospira. “Fascista, fascista, chi non lo era, all’epoca”, dice come tra sé e sé. “In realtà non lo era, ma se lavoravi per lo Stato un po’ lo dovevi essere”. Fascio o non fascio il padre nella Repubblica fa tutte le sedi importanti, gli affidano l’Egitto, la Turchia, la Svizzera. E il Piano Marshall”.
Lei pure poteva fare l’ambasciatrice. Storce la bocca. “Io volevo molto divertirmi, piuttosto, e lì non ci si diverte”. Ha vissuto a New York tanti anni, ha fatto la fotografa, con una strana maestra che era Maria Pia Vecchi prima che diventasse Maria Pia Fanfani, “a Milano, ero stata presentata a questa energica signora, e diventammo amiche. Aveva contatti di altissimo livello nel mondo anche prima di sposare Fanfani”. Ora come fotografa ha appena dato come si dice alle stampe un nuovo reportage, si chiama “Iran. Il Labirinto dell’immaginazione” (Silvana Editoriale). Negli anni ha scattato in lungo e in largo, India, Patagonia, Siria. “Mi sono appassionata del cammino di Santiago, e ho fatto una mostra anche di quello, al chiostro del Bramante”. Tutto va in beneficenza. “Ma siccome cominciavano a considerarmi una specie di santa, ho fatto anche una cosa molto superficiale, come un libro sui cappelli, fotografando delle dame europee con qualcosa in testa”. E poi le feste: “Quella del centenario, quando festeggiammo i miei 40 anni e i 60 di mio marito, e quella Safari, con leoni, zebre, pitoni, in un serraglio che un artigiano impiegò un mese a costruire, si chiamava Battistoni”. “Un leone pettinato, e guardie armate nel caso scappasse. E i più tremendi i coccodrilli, facevano certi salti”. I cari amici Alberto Arbasino e Mario d’Urso vestiti da esploratori.
Un’eccezione, perché le piace pure star in Uruguay, “coi miei peones per cui ho costruito una piccola chiesa, che dovrei ingrandire, nella mia estancia. Faccio una piccola opera di evangelizzazione”.
Ha conosciuto Elvina Pallavicini: “Non era una principessa, era un crociato. Un crociato che pur in sedia a rotelle vestiva solo Capucci”
Nella pampa romana adesso invece la Papessa riceve poco, “lo faccio praticamente solo per sdebitarmi degli inviti. Che faccio, non gli do neanche un bicchier d’acqua?”. “Certo è tutto molto cambiato”, sospira la duchessa. A Roma lei ha fatto in tempo a conoscere le leggendarie Isabelle Colonna e Elvina Pallavicini. Lei è forse la loro erede. Liquidità della prima e fervore cristiano della seconda. “Ma no, assolutamente, quelle erano personalità straordinarie, erano intellettuali, assolutamente no”, si schermisce lei guardando con l’occhione azzurro-Pinerolo l’effetto che fa. “Isabelle era una Sursock, veniva da questa famiglia libanese ricchissima, e grazie a lei ripristinò le fortune della casa, e il palazzo che non era molto ben messo”. E’ l’epoca in cui i blasoni romani cercano investitori esteri in forma di mogli. “Parlava solo francese, era molto amica di Ciano, aveva un’anima molto politica”, c’è tutto in “Kaputt” di Malaparte, il nostro “Preghiere esaudite”. Himmler la chiamava “la quinta colonna”, perché perennemente in contatto col Vaticano e con gli antinazisti. Microspie dappertutto nei pranzi. Rapporto mefistofelico con Ciano. Forse più che amica? “Mah, chi lo sa, tante dame romane erano attratte all’epoca”.
Elvina Pallavicini invece era la boss dell’aristocrazia nera, “ospitò il cardinale arciconservatore Lefebvre quando voleva fare lo scisma dopo il Concilio Vaticano II”. Paolo VI dovette far intervenire il re Umberto in esilio per tentare di bloccarla ma non ci fu verso. Creò una spaccatura nella società romana, Elvina Pallavicini, “se la principessa Colonna era politica, lei era un crociato”. Un crociato vestito Capucci. “Per qualche malattia era costretta sulla sedia a rotelle, ma questo non le impediva di costantemente da Capucci. Me li ricordo benissimo perché anch’io a quel tempo avevo tantissimi Capucci. Per un periodo ho tenuto una casa in centro solo per questi vestiti, che non so dove mettere”. Adesso all’Appia ho tanto spazio”. Finalmente. Dell’Appia Antica è la regina, quindi per proprietà transitiva di Roma. “Ah, sì, era una casa di mio marito, pare che sia il più antico casale dell’Appia, c’è una targa sul muro, ci si abbeveravano i Papi quando andavano ai Castelli per la villeggiatura”. “Per un po’ di anni l’avevamo affittata a Lalla, la sorella del re del Marocco, ma non pagava mai, così ci andammo a stare noi”. Lì Marilù riceve con stile più internazional-piemontese che romano. Sciami di valletti, candele nel parco. Insomma, duchessa, possiamo dire che lei è una
Federici riflessiva? “Come?” Il medaglione romano si marmorizza. “Ah, la vedo spesso all’Opera, lei viene col suo fotografo personale. Che carina”. Non dica così della celebre dama venezuelana, padrona della villa La Furibonda finita nella “Grande Bellezza”. “Ah, sì, si canta molto laggiù, canti sudamericani, con orchestra”. Dalla duchessa invece niente canti, ma porcellane con lo stemma Gaetani che risplende (una delle più antiche famiglie romane, due papi in famiglia. Suo nipote ha sposato Ginevra Elkann. Nella versione Caetani e Gaetani: una volta si dice che un bolognese Gazzoni abbia chiesto a un Gaetani: ma si scrive con la C o con la G, e s’è sentito rispondere: e il vostro?).
Inviterebbe a cena Salvini? Certo, magari col cardinale ultraconservatore Müller. E in felpa. “Divino”
Memorie, ricordi, dame leggendarie: Domietta del Drago, che era poi la Desideria di “Fratelli d’Italia”, o qualcosa di molto vicino. “Era stata bellissima da giovane, ma poi si faceva fatica a capirlo. Figlia di vecchi, diceva mio marito. In quel caso la bellezza svanisce presto”. “Però aveva ancora gambe bellissime. Silenziosissima, non parlava mai, solo qualche battuta lapidaria” (vero!, si può confermare); “le uniche volte che l’ho vista animarsi era quando veniva a giocare a tennis ad Ansedonia da noi”. “Mi ero inventata questa Coppa Caracara. Dal nome di una barca che avevamo, un ferro da stiro, chiamato così perché in Argentina c’è questo falco che si chiama Caracara. E poi perché questa barca man mano che il cantiere la costruiva diventava sempre più costosa”. Giocava bene Domietta? “Non tanto”. Lei invece è molto sportiva, “io sono l’ultima che scia, che gioca a tennis delle mie amiche. Le altre hanno tutte paura, Marina si è rotto un legamento da me a Gstaad” (Marina è Cicogna, grande amica sua). “Io faccio anche kickboxing. Ho bisogno di un po’ d’agonismo sennò non mi diverto”.
Anche la vita è stata piacevolmente agonistica. L’infanzia a Roma, “sempre governanti tedesche tremende, che mia madre assumeva le più baffute possibili perché faceva intellettuale”. Poi in giro, al Cairo col papà ambasciatore, “e io scappo dalle suore ribellandomi”. Poi New York, l’amore con un “professore di economia di Harvard ma molto noioso, rappresentava la noia che mi ero lasciata dietro a Roma”. Poi a Roma trova il suo futuro marito, Coco Gaetani, di vent’anni più vecchio, “avevo promesso di non fare lo stesso errore di mia madre, e invece eccomi qui”. “Però lui era molto energetico, voleva fare le quattro tutte le sere. Eravamo una coppia che andava di moda all’epoca”.
Ma questa nobiltà, duchessa? Conta ancora? (si fa questa domanda da Panorama anni Ottanta). “Abolita con la Costituzione repubblicana”, ride il medaglione. Sì, vabbè. “E’ un nome”, poi esala, “bisogna saperlo portare possibilmente. Certo forse ti dà un accesso più facile, subisci una specie di ammirazione malriposta”. A Roma conta ancora qualcosa? “Mah, poco, ci sono delle signore che ti invitano, si vorrebbe sempre avere qualcuno di nuovo, ma poi siamo sempre noi” (alla presentazione del suo volume, qualche giorno fa, solo conti marchesi duchi e principi, cardinali a strafottere, tanti pretini entusiasti, e la principessa Elettra Marconi, figlia dello scienziato, che ruzzolava per una scala).
Prelati e kickboxing. E niente musiche sudamericane. “Ho bisogno di un po’ d’agonismo, sennò non mi diverto”
Poi Roma produce tutto l’indotto dei nobili finti, un’eccellenza locale. “Sai, a Roma si dice che basta che appendi la bistecca fuori dalla porta”, per avere un successo mondano, non c’è molto screening e fact checking. Le si fanno dei nomi di clamorosi casati tarocchi, di esagitati che tornano dall’estate con una nuova abbronzatura e un nuovo predicato. Mark Caltagirone dell’araldica. Lei ride, “ah, sì, mi hanno invitato una volta, naturalmente non ci andrò mai più”, quell’altro conte “non era il nome piuttosto di un fantino?”; ma comunque “va benissimo, sono così divertenti”. (Non si possono fare i nomi dei finti nobili perché sono tra i più grandi querelatori in circolazione. Ci tengono al loro falso nome). “E poi c’è mia cugina”, si esalta la duchessa. Quale cugina? “La mia omonima, la marchesa d’Aragona!”. Cioè la spericolata signora che imperversava qualche tempo fa sul teleschermo. Dani Del Secco. “L’ho vista una volta a teatro, e i miei amici per prendermi in giro, ecco tua cugina. Peccato che lei ha cambiato strada. Ma che divertente, che simpatica!”, sogghigna.
Ci spostiamo in una storica trattoria dietro piazza di Spagna. Camerieri astuti, insegna al neon, primizie. Lobbisti, turisti. Passa Renato Zero con una tutina di ciniglia. “Ciao Renà”. Roma. Le piace duchessa questo Papa (la si sfruculia). “Mah. Io sono credente e quindi non dovrei pormi queste domande. Una sera però l’ho incontrato, sono stata a pranzo a Santa Marta, ero molto prevenuta, credo che non abbiamo proprio le stesse idee, però devo dire che ha un carisma colossale””. Il suo preferito? “Benedetto XVI. Teologo vero, e poi così dolce!”. Poi non si trattiene: “Francesco invece non parla di niente, non parla dei cristiani perseguitati nel mondo. Parla solo di questi migranti. Vuole il dialogo con la Cina, ma che dialoghi?”. Annamo bene; Elvina Pallavicini, esci da questo corpo. E il cardinale che ha riattaccato il contatore al palazzo okkupato? Il cardinale in Vespa? Salta sulla seggiola. “Inconcepibile! L’avrà fatto spontaneamente? Motu proprio? L’Elemosiniere non può andare contro il papa”. Mancano solo i guantoni da kickboxing. Perdoni duchessa, ma che fa un Elemosiniere? “Ah, è importantissimo, controlla tutte le opere pie. E dunque, completa l’opera pia. Pagagliele tu le bollette. Sei elemosiniere? Fai ‘sta elemosina”. Duchessa, lei è proprio di destra. “Ma no, dipende”. “Alle comunali ho votato Giachetti”. E alle europee ha votato Salvini? Silenzio. “Ah, glielo chiedo io a lei cosa ha votato”. Io Pd. “Ah, ecco, ero sicura. Come tutte le mie amiche”. Ma come, l’aristocrazia romana adesso vota Pd. “Ma certo”. Io vorrei tanto capire chi lo vota, Salvini, se prende il 34 per cento”. Magari i poll dell’Appia Antica non sono rappresentativi. “Sa cosa? I più onesti nel mio ambiente dicono che votano la Meloni, per non sbilanciarsi”. Ma il Capitano lo inviterebbe da lei? “Certo! Subito”, si illumina. “Con un bel cardinale”. Con l’Elemosiniere, fico. “Ma no! Ma che elemosiniere. Con Müller”. E chi è Müller? “E’ un tedesco, capo dei conservatori, che sta facendo una battaglia contro Francesco”. E se poi Salvini le si presenta con la felpa? “Beh, potrebbe indossarne una, che so, con la scritta dei Camminatori dell’Appia, si trovano. Sarebbe divino”.
Abituati alla tragedia