E' tornata la pruderie
Dopo Deneuve, un’altra attrice contro il MeToo. E’ Judi Dench, a difesa di Kevin Spacey, diventato non persona
Roma. Un anno fa, in una lettera aperta pubblicata dal Monde, fu una attrice francese ad attaccare il movimento #MeToo. Catherine Deneuve condannò la “caccia alle streghe” seguita al caso Harvey Weinstein. Un vero manifesto contro il “nuovo puritanesimo” in cui il maschio è stato punito sommariamente, “costretto a dimettersi avendo avuto come unico torto quello di aver toccato un ginocchio, tentato di strappare un bacio, o aver parlato di cose intime in una cena di lavoro, o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a una donna che non era egualmente attirata sessualmente”. Il furore dei social e delle femministe fece seguito alla lettera sul Monde. Deneuve vide giusto, anche a giudicare da quanto ha appena fatto Keanu Reeves. Nel mettersi in posa per le foto di rito, l’attore ha deciso che non poggerà più le mani sui fianchi delle donne, come si fa di solito. E’ tornata la pruderie.
Adesso è un’altra grande attrice, stavolta inglese, ad attaccare il #MeToo. Si tratta di Judi Dench, dama dell’ordine dell’Impero britannico, leggenda del teatro inglese e premio Oscar per “Shakespeare in Love”. Lady Dench ha parlato della sua “tristezza” nel vedere amici come Weinstein e Kevin Spacey scomparsi dal grande schermo. Perché il #MeToo, lungi dal portare la giustizia in terra, è riuscito a farci vedere soltanto quello che si conforma a un certo canone di correttezza morale. Dench non difende Spacey e Weinstein dalle accuse relative alla loro condotta sessuale, ma condanna la loro damnatio memoriae, in particolare dell’attore scomparso da House of Cards, dai film, da Netflix e da Sony e le cui sole comparse degne di riprese sono ormai quelle che lo vedono imputato in un tribunale del Massachusetts. Niente coercizione, basta sostituire il reo. Protagonista del film “All the money in the world” di Scott sul sequestro Getty, Spacey è stato sostituito con l’anziano Christopher Plummer, chiamato a ripetere le scene del predatore ai ceppi. E l’Accademia internazionale di arti e scienze televisive gli ha anche ritirato l’Emmy che stava per dargli.
“Che tipo di agonia è?”, s’è domandata Dench alla radio. “Cancelleremo i suoi dieci anni all’Old Vic?”, ha continuato, riferendosi alla direzione di Spacey del teatro di Waterloo Station a Londra. “Non andremo a vedere tutti i film prodotti da Harvey? Non dovresti nemmeno vedere più un dipinto di Caravaggio”. La dannazione ha appena travolto anche Woody Allen, che ha perso i distributori per le accuse (mai provate) di abusi.
Da buona inglese, Dench forse sa che la grande arte è stata fatta da uomini poco reprensibili, come Egon Schiele, “burqizzato” nella metropolitana di Londra. Si inizia nel Medioevo, quando Geoffrey Chaucer fu accusato di stupro e lo scrittore Thomas Malory fu imprigionato più volte per stupri e rapine.
E poi Arthur Koestler, l’autore del romanzo antistaliniano “Buio a Mezzogiorno”, uno stupratore seriale, e il premio Nobel William Golding del “Signore delle mosche”, che da adolescente aveva cercato di stuprare una ragazza. Fino a Eric Gill, il grande scultore le cui opere adornano la Broadcasting House di Londra e che ebbe rapporti incestuosi con le sorelle. I musei, Hollywood, l’editoria, avrebbero bisogno di magazzini più grandi delle stesse gallerie dove stipare tutta l’arte degli sporcaccioni. E’ in gioco, tout court, la libertà artistica, visto che quella di espressione se la sono già giocata.
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