Sempre caro mi fu quest'ermo lido
Negli anni Sessanta intellettuali e scrittori avevano fatto di Bocca di Magra il quartier generale da proteggere
Nella frescura dell’alba, non era difficile sorprenderli in controluce mentre con un largo e studiato gesto, dalla riva, lanciavano la rete verso le acqua basse: una maniera di pescare con una rete chiamata rezzaglio, ma anche sparviero, per catturare pesci che difficilmente avrebbero abboccato all’amo. Era uno spettacolo vedere chi, antica maniera tipica del luogo, a quella pesca si dedicava. Occorreva una particolare perizia nel lancio della rete. Un gesto opportunamente studiato, ad un tempo sacrale e olimpionico.
Quando il pescatore la gettava, la rete, per un istante formava nell’aria una nube impalpabile, stagliata come un pizzo tra acqua e cielo. Il rezzaglio dava spettacolo di sé in quel calmo paesaggio, alla foce di un fiume che rastremato, andava a mescolarsi con il mare. Quello era un posto di acque: fiume, mare… lembi sabbiosi, canne, pontili di legno: la mappa idealizzata di Bocca di Magra, uno schema rappresentabile attraverso un universo da cassetto con una scenografia ridotta all’essenziale.
E’ questa la Bocca di Magra – “un posto in cui eravamo capitati, che sapeva di America povera e film neorealisti” - rievocata da Silvia Sereni, mentre alla ricerca dei giorni d’antan, nel suo recentissimo “Un mondo migliore, Ritratti”, (con illustrazioni di Giovanna Sereni, ed. Bompiani) in cui “ritrovando perdute estati”, sorprende il padre, il poeta Vittorio Sereni, e tutta una folla di primattori, comprimari, comparse e qualche figurante, nel cartellone vacanziero di Bocca di Magra. Con sketch amabili: Sereni “caratterista” durante una possibile competizione di abilità proprio alla pesca con lo sparviero, in gara a Luigi Biso: “L’amico elegantissimo, anche in bermuda e polo sportiva, a quell’ora reduce dalla pesca mattutina sul fiume… si fermava giusto a casa nostra per un rapido saluto per poi sparire come era venuto lasciando invariabilmente dietro di sé un senso di rassicurante ottimismo e magari un pesce appena pescato. Era dotato della capacità di pensare in termini di benessere comune. Non a caso nella sua villa detta ‘degli Olivi’, si riunivano gli ‘Amici di Bocca di Magra’, l’associazione di cui facevano parte, oltre a lui e a mio padre, Giulio Einaudi, Nicola Chiaromonte, Franco Fortini, e molti altri, cioè gli intellettuali che frequentavano Bocca di Magra e dintorni e che si proponevano di difendere il paesaggio dalla speculazione edilizia”.
Negli anni Sessanta, una sofisticata “tribù” di intellettuali si era costituita in “Società degli Amici di Bocca di Magra”
Negli anni Sessanta, una sofisticata “tribù” di intellettuali, scrittori, poeti, artisti, in vacanza a Bocca di Magra e Fiumaretta si era costituita in “Società degli Amici di Bocca di Magra”, una istituzione che si proponeva la tutela del paesaggio e dei territori di Bocca di Magra, Ameglia, Montemarcello e frazioni circostanti, evitando ogni forma di speculazione edilizia, salvaguardando luoghi e paesaggi arrivati integri e sopravvissuti a quella che sinistramente veniva definita allora una “benefica esplosione della civiltà”. Va’ a vedere. Il Bel Paese stava sull’onda alta del benessere e tutti pretendevano la individual parte di comodità e ricchezza. Passabilmente una villetta costruita dal geometra del luogo nel bel mezzo di un uliveto centenario. E tali se ne contemplavano, invitte “foreste grigio-argento” in quell’estremo lembo di Liguria.
Il direttivo della Società era formato da Giulio Einaudi, Luigi Biso, Nicola Chiaromonte, Franco Fortini, Giorgio Piccardi, Vittorio Sereni, Hans Deichmann, Vittorio Korach… ma gli aderenti, in prevalenza residenti estivi di Bocca di Magra e dei dintorni, erano più di ottanta: Italo Calvino, Mary McCarthy, Valentino Bompiani, Guido Piovene, Mario Soldati, Harry Craig, Elio Vittorini… Come direbbe qualcuno in vena di primati, il gotha dell’italica letteratura, del tempo… E tanto fece rumore la truppa votata alla salvaguardia di Bocca di Magra che lo scrittore Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra, fondata nel 1955, si accodò scegliendo di passare anch’egli le sue estate a Bocca di Magra.
Era quello un universo intellettuale che voleva trascorrere le estati in una Bocca di Magra ancora selvaggia, non certo venata di mondanità come la Versilia e certe località della Riviere ligure. Erano eccentrici e a loro modo sofisticati ma col gran merito d’aver inventato un vero e proprio mito diffusosi come aura da un olimpo vacanziero fiorito sulle sponde del Magra alla sua confluenza con il mare. Un luogo in cui i poeti, scrittori, artisti si ritrovavano nell’ozio più aggraziato dedicandosi anche e passabilmente a quell’arte unica, tipica degli intellettuali che è la sublime chiacchiera, il ron-ron letterario, il pettegolezzo colto che giustificandosi da se medesimo quale humus della creatività, produce esaltata cultura anche quando si effonde stemperandosi nella maldicenza.
Un paese senza piazza, con le case in fila lungo l’argine del fiume. I pochi abitanti e quei signori che con loro non si mischiavano volentieri
Difficile individuare chi abbia aperto la strada, diciamo l’esclusiva moda delle vacanze degli scrittori a Bocca di Magra, luogo che, ancor oggi, in una mitizzazione estinta, deve parte della propria fama ai celebrabili di quella che fu l’ ormai inabissata repubblica delle lettere: quella sfortunatamente e purtroppo estinta sublime “perniciosa società per delinquere” come la definiva Eugenio Montale, borbottando. Una genia di “produttori” di storie e storiacce che, travalicando il tempo, hanno consentito a posteri intriganti di sguazzare nelle “rievocazioni” maliziose dei sopravvissuti, raschiando confidenziali miti e tutti i possibili sublimi “mi hanno voluto dire” stracquati fino a noi, facendosi raccontare storie & affinità con vagheggiamenti d’ogni carattere e colore, e riuscendo così ad assemblare una autentica geografia storica della letteratura italiana del Novecento. Mettiamo fino agli anni Settanta del secolo passato quando, per avvenuta infungibilità, la letteratura degli scrittori ha lasciato il passo alla marmaglia dei propriamente detti scriventi.
Aperta allora la caccia per individuare quanto meno chi fu l’iniziatore o scopritore di una esclusiva vacanza a Bocca di Magra, sospettato grazie proprio a certi depistaggi in cui fu maestro, mito o non mito, in verità, sembra esser stato proprio Eugenio Montale lui il primo, se in queste cose vale il gioco del primariato, verso la fine degli anni Venti, a passare e ripassare sull’argenteo nastro del Magra, e visitare questa deliziosa plaga, sollecitato, pare, da amicizie, che nella biografia del futuro premio Nobel, avrebbero avuto più tardi la dovuta evidenza: complicità vacanziera condivisa con il leggendario Roberto Bazlen, e poi quella con il commediografo carrarese Cesare Vico Lodovici, gran traduttore di Shakespeare, Molière e T.S., Eliot, che, nell’estate 1924, fu colui che avrebbe recato il manoscritto degli Ossi di seppia all’editore Piero Gobetti, suggerendone la pubblicazione.
Montale sembrerebbe allora un precursore tra gli “esploratori” e poi “soggiornatori” a Bocca di Magra, contrariamente a quanto narra una leggenda messa in giro chissà da chi: Montale arrivato qui per la prima volta nel 1933 con Vittorini e Giansiro Ferrrata e altri che, come loro, gravitavano attorno all’ambiente fiorentino e alla rivista “Solaria”. E proprio lui, Montale, a trascinarli dalle parti alla foce del Magra. Ma poi (già nel 1939 o nel 1940) non si fece più vedere, preferì Forte dei Marmi come luogo di vacanza con la “Mosca”, la moglie. Scelse di tagliare la corda dalla Liguria, la sua terra d’origine, che secondo tradizione gli aveva “lesinato pane e onori”.
Affezionati frequentatori erano Giulio Einaudi, Nicola Chiaromonte, ma pure Calvino, Mary McCarthy, Guido Piovene, Mario Soldati
Silvia Sereni “rimpiange” il mondo di ieri, cercando di darsene una ragione. E dice che la rievocazione di quel mondo reca un particolare “non da poco” e cioè che gli interpreti delle estati a Bocca di Magra non sono più tra noi. Fanno parte di quel “mondo grigio e impalpabile” in cui dimora “la folla sterminata dei morti” resuscitati nella memoria che alimentano il più famoso dei racconti dublinesi di Joyce. Beh! Siamo sempre e comunque nel salto triplo di una certa forma di vita transustanziata in letteratura. Se è poco. Almeno così sembrerebbe. La solita storia: la memoria. Possibile che una bella schiera di vacanzieri stanziati in un angolo di Liguria, alla foce di un fiume, in un tempo accecato, possa ancora richiamare alla necessaria attenzione per dare un senso alle nostra giornate, sconvolte da un vuoto nulla? Proprio nel tempo nostro in cui prendiamo ferocemente a calci ogni riferimento al passato. Soprattutto quella “strana memoria” che nella realtà ormai trascurata fa parte helas! del tramontato grande patrimonio di attenzione, quello che Carlo Bo aveva teorizzato quale Letteratura come vita.
E allora Bocca di Magra, e le sue estati, e i suoi personaggi, al di là della sua giocosa visionarietà muta in un luogo rappresentabile nella parade della creatività. Un ambito dove “i personaggi”, profili di letterari in vacanza, illusoriamente in qualche digressione mentale di un mentecatto alla ricerca di un senso della propria vita, si trasfigurano nel senso dell’esistente.
Si può compiere qui un esperimento, simile a quello che Silvia Sereni ha fatto del mondo che ha vissuto. Un esperimento possibile dove la memoria è la letteratura.
Sembra esser stato Eugenio Montale il primo, verso la fine degli anni Venti, a passare e ripassare sull’argenteo nastro del Magra
Montale dedicò a Bocca di Magra un racconto “La casa sul Magra” e la poesia “Il ritorno”, in cui è nominato il barcaiolo Duilio, che traghettava la gente dall’una all’altra riva del fiume, quando ancora non c’era il ponte a collegarle... Vittorini, assiduo frequentatore di Bocca di Magra dal 1945 al 1954 attirò molti intellettuali e amici, per poi non tornare più a causa dell’insofferenza che gli derivava dal progressivo affollamento turistico della zona. Non ha lasciato testimonianze “letterarie” su Bocca di Magra. Di lui, di Vittorini, arriva invece a noi il ritratto che Marguerite Duras delinea nel romanzo I cavallini di Tarquinia, ove racconta di un certo Ludi: altro non è che Vittorini in vacanza. Le pagine della Duras danno vita nella memoria sulla terrazza della locanda “Il Pilota”, ritrovo di serate danzanti situato sull’altra riva del Magra, a Fiumaretta. Le stesse musiche che arrivavano sulla riva destra all’orecchio di Vittorio Sereni – “Ma intanto si disuniva la bella sera sul mare e sui discorsi sui tavoli sui recinti di canne dove ballavano scalzi el pueblo del alma mia…” .
E ancora Sereni con “Un posto di vacanza”, in cui i versi “descrivono” la Bocca di Magra del 1951, quasi in ideale continuità con “Il ritorno” di Montale:
“Un giorno a più livelli, d’alta marea / – o nella sola sfera del celeste. / Un giorno concavo che è prima di esistere / sul rovescio dell’estate la chiave dell’estate. / Di sole spoglie estive ma trionfali. / Così scompaiono giorno e chiave / nel fiotto come di fosforo / della cosa che sprofonda in mare”.
Versi che echeggiano con un rimpianto la Bocca di Magra d’una volta, quella esclusiva del tempo del brusio dei letterati, un posto senza tutte quelle barche e la gente arrivata in massa. Era come se il luogo esclusivo di un tempo si fosse dissolto. Nella contemplazione delle due sponde del fiume, separate e unite nell’immaginario. Commento di Giovanni Giudici: “Già dalla fine degli anni Sessanta i vacanzieri cominciarono piano piano a disgregarsi anche e soprattutto a causa del fatto che il loro luogo estivo prediletto, che contemplava la spiaggia di Fiumaretta, la terrazza del ‘Pilota’, la pergola del ‘Sans façon’ (sotto cui rimanevano a chiacchierare per ore, lo chiamavano il ‘concilio’), i viottoli di Montemarcello e gli scogli di Punta Bianca cominciavano a riempirsi di turisti e ad esser vittima del cemento. E i contatti con la popolazione locale?”.
I pochi abitanti di Bocca di Magra, un paese senza piazza, con le case in fila lungo l’argine del fiume, forse avranno guardato qualche volta con sospetto quei signori che con loro non si mischiavano troppo volentieri, e sia pur dal tratto affabile restavano chiusi nel loro mondo di discorsi importanti. E che a ogni costo, senza curarsi dei desideri degli abitati stabili, avrebbero arginato l’arrivo delle “moderne comodità” in quella contrada. Personaggi ostinati a sopravvivere a se stessi, “guatati” da Luciano Bianciardi: “Orsù amici! In folta schiera difendiamo la scogliera. Osteggiamo con furore il venal speculatore che lottizza, taglia e sparte. Via la pista del gocarte! Combattiamo con dispetto il tetragono architetto Difendiamo da ogni male l’habitatte naturale Così bello ricco e vario del periodo quaternario Aspra ed erta fia la strada ma agguerrita è la masnada Della sana intellighenzia (Storia e Musa ed Arte e Scienza!) Chè sovvengon da Torino sia l’Einaudi che il Calvino Vien Milano a ranghi pieni col Fortini e col Sereni Col De Carlo e col Bianciardi arrivato un poco tardi. Da Trieste si fa sotto il Gambino 48 Vittorini in spirto v’è pur se estata a Santropè Siano i dubbi inascoltati dello scettico Soldati Siamo noi i soldati veri menti elette e cuor sinceri. Orsù amici, che a noi tocca di difendere la Bocca”.
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