Demi Moore e Patrick Swayze in una scena di Ghost, film del 1990 diretto da Jerry Zucker

Gli abbracci, oscuro oggetto del desiderio che siamo disposti a pagare

Simonetta Sciandivasci

I surrogati virtuali non bastano più, rivogliamo il contatto

Roma. Cominciamo a sentire la mancanza del contatto. Quello dei corpi, e non lo sconosciuto da aggiungere su Facebook che probabilmente non abbiamo mai visto e non vedremo mai.

 

“L’intimità è stata fuori moda così a lungo da essere pronta a tornare?”, scrive Courtney Maum sul New York Times in un pezzo intitolato “Please, touch me”, che però ragiona su quanto sarà complicato ripristinare quella naturalezza che un tempo ci faceva abbracciare e stringere mani senza temere di finire denunciati, cancellettati come molestatori, o evitati come quelle zie che ti fanno gli auguri di Natale baciandoti in bocca.

  

C’è il problema del consenso, naturalmente, e da questa parte dell’oceano abbiamo riso molto del dramma di Joe Biden, candidato democratico che ha rischiato di giocarsi la corsa alle presidenziali per aver baciato sulla fronte una collega senza chiederle il permesso, e per essere stato sempre espansivo in modo esagerato, diciamo all’italiana. C’è la recessione sessuale – “a volte sembra che le persone che scrivono di sesso siano più numerose di quelle che lo fanno”. C’è la cultura della precauzione – nelle università ai professori maschi si consiglia di non chiudere mai la porta quando ricevono studentesse. E, soprattutto, ci sono i surrogati che continuiamo a inventarci per appagare il bisogno di calore, e far finta di essere sani: il sexting, le bambole gonfiabili, il culto e la cura di sè – “se nessuno è più disposto a toccarci, tocchiamoci da soli!”.

 

Dal prossimo ottobre, negli Stati Uniti e in Giappone sarà possibile comprare Gatebox, assistente virtuale che non è soltanto una voce, ma un manga con cui interagire, che ti guarda e parla e coccola e obbedisce dall’interno di una lanterna nella quale è proiettata la sua immagine. E’ più o meno rabbrividente di chi affitta un amico per fare un viaggio, andare al cinema, mangiare una pizza? RentAfriend ne mette a disposizione quasi settecentomila.

 

Il mercato, nota Maum, ci esorta al contatto e ci mette a disposizione molte opzioni per procacciarcelo, consapevole com’è che i modi naturali per farlo ci mettono in pericolo. Perché abbracciare una collega che potrebbe sentirsi aggredita e decidere quindi di rovinarci la reputazione quando possiamo, invece, affidarci alle coccole di esperti come in una puntata di “Billions”? Esistono spazi terapici a cui rivolgersi per ricevere effusioni, come Cuddle Up to me di Samantha Hess, in Oregon, attività in espansione con ben cinque dipendenti che nella vita fanno questo: offrono una spalla, e una voce, e un corpo, insomma una persona in carne e ossa a chi si presenta e domanda aiuto, sostegno, affetto, attenzione, cura, accortezza, tempo, contatto.

 

Ha scritto il Monde che gli uomini sono sfiniti dall’idea che il patriarcato, e in certi casi anche la lotta al patriarcato, ha cucito loro addosso: la disponibilità assoluta e perpetua al sesso, alla seduzione. Sono sfiniti dall’incapacità di ammettere che anche la loro libido è soggetta all’umore, ai contraccolpi del quotidiano, allo spirito del tempo, ai rifiuti, ai traumi. Sono sfiniti dall’aspettativa femminile che non abbiamo ancora sottoposto alla rielaborazione del consenso cui, invece, stiamo sottoponendo quella maschile, e che quindi spesso si manifesta in forme violente, prove insultanti, pretese moleste.

 

Esistono maschi che pagano qualcuno per farsi abbracciare di modo da non compromettersi la carriera, e altri che, più disperatamente, lo fanno per lasciare integra l’immagine della propria mascolinità.

 

In sostanza, dice il Monde che se vogliamo uomini che ci dicano “Touch me baby, can’t you see that I am not afraid” (toccami, non vedi che non sono preoccupato?), come Jim Morrison in quella canzone bellissima, dobbiamo smetterla di essere come Ornella Vanoni in quell’altra canzone bellissima, che faceva: “Vicino è ancora poco, il gioco adesso è mio, sei prigioniero uomo mio”. Ammesso che lo siamo mai state, come Ornella Vanoni in quella canzone.

 

Maum, comunque, è ottimista: dice che tutte queste privazioni, inibizioni, debolezze, mancate carezze ci riporteranno indietro, a ballare i valzer viennesi, ad andare a scuola di buone maniere, a studiare i feromoni per ascoltarli meglio, a “pensare continuamente e ossessivamente a come fare sesso”.

 

Come in ogni buona rivoluzione, l’origine è la meta.

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