Il comico antipatico
Fa ridere ma ha pure il posto fisso. E’ campione del mondo di Monopoly. Chi è Nicolò Falcone, stand up comedian tra i più promettenti d’Italia
"La stand up comedy è un genere di commedia un po’ particolare, non c’è la quarta parete ed è una chiacchierata tra amici, solamente che voi state zitti e noi non siamo amici”. Comincia così “Io, campione”, il monologo di Nicolò Falcone, e finisce ancora meglio, però non diciamo come: andatevelo a vedere e sentire, andatevelo a cercare, e state certi che, anche se ora non lo sapete, ne avete bisogno e vi piacerà ciò che pensa e che dice e in lui potreste persino rivedere le vostre radici, come in quella canzone che avete riconosciuto e che parla d’amore, e di ricerca, e dice che non bisogna accontentarsi di piccole gioie quotidiane. Falcone è uno dei migliori stand up comedian italiani, ha trentacinque anni, un figlio, una fidanzata che lo ha convinto a sposarsi e a vendersi la moto (propedeutico al fare un figlio), un posto fisso al comune di Venezia al quale non rinuncerebbe per niente al mondo – perché “è il grande sogno italiano, non hai visto ‘Quo Vado’ di Zalone?” e perché gli consente di non avere fretta mai – una laurea in Giurisprudenza, un enorme talento nel definire le cose (le battute questo sono, dopotutto: la definizione fulminante e perfetta delle cose) e un bizzarro titolo mondiale: è il campione in carica di Monopoly (sì, esistono i campionati mondiali di Monopoly, se siete monopolisti domestici molto dotati e parecchio fortunati, fateci un pensierino e concorrete anche voi, potreste vincere 20 mila dollari).
Non rinuncerei mai al posto fisso, ho visto “Quo vado”, fare il dipendente comunale mi permette di non sapere cosa sia la fretta
“Poco prima che cominciassi a fare stand up, mentre mia madre mi implorava di fare il magistrato, sono andato a giocare con un paio di amici ai provinciali di Monopoly a Spilimbergo, in Friuli Venezia Giulia, e sono arrivato terzo, qualificandomi per i nazionali. Il 25 aprile dell’anno dopo, era il 2015, con quegli stessi amici e rispettive fidanzate, piuttosto incazzate, ho girato l’Italia e ho giocato con i nerd di un sacco di paesini, sono arrivato primo, e la Hasbro mi ha spedito in Cina per partecipare ai mondiali. A quel punto, la mia ragazza ha smesso di incazzarsi”, racconta al Foglio.
A Fabio Volo, che in radio lo aveva intervistato subito dopo il trionfo, aveva detto che a lui i soldi piacciono di tutti i tipi, veri, finti, degli altri, buoni pasto – “Nel mio portafogli ho una foto del mio portafogli” – e che gli avversari che aveva temuto di più in Cina erano stati gli israeliani. Fabio Volo, un po’ in difficoltà, gli aveva levato simpaticamente la parola e proseguito il programma dicendo per diversi minuti che glielo avrebbero chiuso. “Forse non era stata una buona idea fare battute su Israele in radio alle nove del mattino, ma lo metto sempre in conto: ci sono alcuni argomenti che, quando li tocchi, in qualsiasi modo lo fai, rischi di perdere mezza sala”.
I soldi mi piacciono tutti, veri, finti, degli altri, miei, buonipasto. Ho sempre con me una foto del mio portafogli
E infatti nello spettacolo che qualche mese dopo ha portato sul palco per la prima volta, su Israele dice: “Provaci a te a giocare a Monopoly con uno che punta alla Terra Promessa anziché al Parco della Vittoria”. E sull’Olocausto: “Ai nazisti comunque dobbiamo molto, per esempio ‘La vita è bella’: tre Oscar a un film italiano!”. Sugli omosessuali: “Li odio perché hanno la risposta perfetta alla domanda peggiore, ovvero perché non ti sposi? Loro hanno la fortuna di poter dire che non possono, e anziché essere grati, si lamentano. Quindi faccio un appello a tutti i cattolici e benpensanti del nostro paese: legalizzate il matrimonio omosessuale, togliete i privilegi a gente che non sa come sfruttarli, e se volete veramente danneggiare i gay proibite loro il divorzio”. Sugli assistenti universitari: “Sono una categoria che fa schifo anche a Dio”. Sui casellanti: “Il telepass lavora molto meglio di loro”. Non salva nessuno, neanche la sua ragazza e le sue amiche dei gruppi WhatsApp, neanche la sua donna delle pulizie – “la mia filippina è rumena, quella bastarda deve aver visto il mio spettacolo su YouTube e ora mi rifà il letto malissimo”. Nella sinossi di “Io, campione” è scritto: “Nicolò Falcone è un ragazzetto viziato a cui la vita e la famiglia non hanno mai fatto mancare nulla”.
Vi ispira antipatia? Bene, bravi, bis. Il comico non dev’essere simpatico: deve far ridere, certe volte dando il peggio, dicendo il peggio. Non sarà che la spregiudicatezza, in questi tempi di revisione e correzione e destrutturazioni disintossicanti e rivalutazione del politicamente corretto, è un lusso che può permettersi giusto un ragazzetto viziato che ha avuto tutto dalla vita e che ha il posto fisso nella pubblica amministrazione e dunque se si gioca mezza sala sa comunque come portare il pane a casa? “I miei amici che fanno stand up comedy di mestiere non hanno molti più riguardi di me. Naturalmente, hanno sensibilità diverse dalla mia. Sono un privilegiato bianco eterosessuale di buona famiglia, grazie al cielo, e mi piacciono i soldi, e non rinuncerei mai alla tranquillità del posto fisso, quando salgo sul palco non faccio chissà cosa, non intendo scioccare nessuno. Sono più sicuro, forse persino più arrogante di un ventisettenne neolaureato precario o disoccupato che si affaccia al mondo del lavoro, ma tanto adesso quanto molto tempo fa, le persone realmente in grado di farmi tremare la voce sono molto poche. Una volta ho incontrato Beppe Grillo in un bar e quando l’ho avvicinato per parlargli ho sentito la forza della sua potenza, mi sono sentito ridimensionato”. Cerchiamo il buono e il bello: non sarà anche che del pubblico italiano, che mangia molti gelati e conta i capelli e accoglie Louis CK come un eroe e Woody Allen come il maestro che è, fregandosene dei refoli metooisti, ci si può fidare? “Chi paga un biglietto per andare a vedere uno stand up comedian sa cosa aspettarsi, non voglio dire che si tratta di una élite, ma certamente il livello è piuttosto alto. A Venezia, dove lavoro io, poi, il più stupido che ho in platea suona il violino: in questa città ci sono rimasti albergatori, tassisti e professionisti. Le prime due categorie non vengono a teatro, chi resta?”.
Non vorremo mica dire che gli intellettuali sono il miglior pubblico possibile. “No, certo. Solitamente, comunque, l’indignazione arriva da sinistra. Due anni fa sono andato a vedere un concerto di Edoardo Vianello a Pellestrina: quando ha cantato i Watussi, non ha detto “ci sta un popolo di negri”, ma “ci sta un popolo di neri che ha inventato tanti balli”. E a rimproverarmi per aver detto una volta “Meno male che mio figlio sarà maschio, almeno è una persona vera!”, non sono stati dei conservatori, mettiamola così”.
Le donne sono diventate un argomento intoccabile? “Eccome. Ma io ci marcio sopra. Non penso che il maschilismo sia fare battute, anche molto stronze, sulle donne. Non è una mia battuta sullo stupro a stuprare una donna. Vuoi un esempio di sessismo? Alle ultime elezioni ho dovuto votare per forza due maschi e una femmina, anche se avrei voluto votare due maschi. La donna neanche la conoscevo ma ho sbarrato il suo nome per non annullare la preferenza all’altro candidato. Avrei voluto mandarle un messaggio e chiederle come la faceva sentire il fatto che l’avessi votata solamente per far vincere il suo collega, che poi ovviamente ha perso”.
La mia filippina è rumena, quella bastarda deve aver visto il mio spettacolo su YouTube e ora mi rifà il letto malissimo
Ci vorrebbe una stand up su questo, magari ci insegnerebbe qualcosa. “No, per carità, sarebbe terribile. Il comico non ha alcuna funzione sociale, o educativa, o etica. Il comico deve far ridere e, possibilmente, non annoiare. Io quando faccio uno spettacolo devo poter scherzare su tutto: mi aspetto che la scuola e i genitori forniscano a chi mi ascolta gli strumenti per stare al gioco. Se la pensassi diversamente, temo che tutelerei la stupidità. Non ho alcuna intenzione di preoccuparmi dello stupido che, in platea, si offende per una battuta sui ciccioni. Perché non dovrei fare battute sui ciccioni? Fanno ridere, hanno le tette, e quando sudano sulla loro maglietta le strisce di sudore formano una specie di sorriso”. Non sarai un po’ bullo? “Nient’affatto. E comunque se un ciccione si sente offeso da una mia battuta sui ciccioni, si metta a dieta, mangi insalata. Oppure impari a star bene con sé stesso”.
E’ un miracolo che non lo abbiano ancora menato, censurato, cacciato via, non credete anche voi? “Mi è capitato di schiantarmi diverse volte. Una volta, a Roma, durante un mio pezzo sulla gravidanza, tre malscopate in prima fila si risentirono moltissimo”. Mal cosa, prego? “La malscopata è una donna tra i trentacinque e i quarant’anni, che vorrebbe figli ma non ha con chi farne, oppure ha con chi farne ma le viene opposta resistenza, ed è parecchio incazzata”.
E come ne sei uscito vivo? “A volte non ne esci: ti prendi i fischi e basta, perdi mezza sala e basta. Altre volte, invece, riesci a recuperare uno spettatore: mi è capitato spesso di vedere persone che s’imbronciavano dopo alcune mie battute, poi ne ho fatte altre, le ho riconquistate ed è stata una bellissima sensazione”.
A Roma le mie battute sui barboni sono poco apprezzate, forse ogni romano ha un senzatetto in famiglia
Ci sarà pure qualcosa su cui tieni e freno la lingua. “Non fintanto che sono su un palco. Cerco di non essere mai greve, la volgarità invece mi piace, non la censuro. E’ innocua. La professoressa di Novara che scrive su Facebook, commentando la morte del carabiniere Cerciello Rega, “Uno di meno e chiaramente con uno sguardo meno intelligente, non ne sentiremo la mancanza”, lei sì che è un pericolo: cosa crediamo che possa insegnare una che ragiona in questo modo?”.
Il mondo lo salverebbero i buoni insegnanti? “Di certo non lo salveranno i comici. Quando uscivamo dagli spettacoli di Luttazzi e Grillo pensavamo che avrebbero inchiodato Berlusconi e invece com’è finita? Grillo è diventato un uomo di potere e ha creato un mostro”. E Luttazzi? “Era il mio idolo, poi è successo che quando ho capito di voler fare stand up, gli ho mandato alcuni video di miei monologhi e lui mi ha risposto che avrei dovuto continuare a fare l’avvocato. Ho obbedito. Poco più tardi è venuto fuori che rubava le battute degli altri”. E quindi ci hai riprovato? “Ho mandato il mio lavoro a Edoardo Ferrario e Saverio Raimondo, su Messenger, e siccome immaginavo che le loro caselle di posta fossero strapiene, ho aggiunto due righe in cui promettevo che, sia che gli piacessi sia che no, li avrei portati a cena a Venezia. Ferrario mi ha risposto subito, mi ha detto che i miei video facevano schifo ma che le battute sapevo scriverle, pochi mesi dopo mi ha invitato a Roma all’Open Mic, uno spazio dove gli stand up comedian emergenti hanno cinque minuti sul palco da soli, era il 28 gennaio, e io parlai per tre minuti di giornate delle memoria: nel pubblico c’erano i capoccia di Comedy Central, mi chiesero se volessi continuare, io risposi che non avevo intenzione di spendere soldi in formazione – ero una specie di ragazzo di campagna molto diffidente – e loro risero e mi inserirono nel progetto ‘Natural born comedian’ di Comedy Central. E così entrai nel giro”.
Qua non si capisce se tu sia più bravo o più fortunato. “Non è finita qui. Quando sono tornato a Venezia, ho incontrato Stefano Poli, un architetto che ha ereditato il teatro dell’Avogaria (mica bruscolini) e che anziché affittarlo lo ha messo in mano a un’associazione di cui è presidente e che ospita gratuitamente compagnie teatrali, dando loro un palco. Non esiste niente del genere in Italia. Quando ho proposto a Poli di ospitare dei comici di stand up, lui mi ha risposto che gli sarebbe interessato molto di più organizzare una rassegna. E così, da qualche anno, a Venezia, passano i migliori stand up comedian italiani: il cachet non è altissimo, ma il pubblico numeroso (oltre 100 tesserati) è assicurato”.
Venezia è più generosa di Roma? “Non credo. Io, di certo, a Roma funziono meno. Le mie battute sui barboni a Milano fanno ridere sempre moltissimo. A Roma molto meno o nient’affatto: sarà forse che tutti i romani hanno un barbone in famiglia”.
Sei pessimista? “Certo che sì. L’altro giorno mi sono preso la briga di leggere tutti i commenti sotto la foto dell’americano bendato durante l’interrogatorio sul sito della CNN (caso Cerciello Rega). Mi aspettavo che fossero tutti incazzati, che ritirassero fuori Amanda Knox, e invece sembrava la pagina Facebook di un raduno di leghisti: tutti sostenevano che se non vuoi finire bendato in caserma, non devi ammazzare un carabiniere. Un mio professore all’università diceva sempre che il ventenne che non ha ideali non ha cuore, mentre un cinquantenne che non ha ideali non ha testa e io la penso allo stesso modo. Però vivo bene. Faccio il mio. Sono consapevole di essere molto fortunato”.
Louis CK sei andato a vederlo? “No, purtroppo ero in vacanza. Ma lo amo moltissimo. E’ nel mio pantheon insieme a George Carlin, Corrado Guzzanti, Paolo Villaggio, Charlie Chaplin, Marco Paolini, i miei colleghi Luca Ravenna, Daniele Tinti, Francesco De Carlo. Ho visto lo spettacolo sul Vajont di Paolini così tante volte che la mia tesi di laurea è sul Vajont”.
Siete giovani, voialtri stand up comedian? “Uno di cui non farò il nome sembra che abbia 81 anni, un altro, mio grande amico che mi ospita quando vado a Roma è del ‘90, uno che mi piace tantissimo è del ‘97, uno dei miei idoli ha più quarant’anni. Abbiamo età varie, ma sicuramente ci sono più giovani che anziani tra noi”. La ragione? “E’ parecchio più facile che ci siano disoccupati tra venti trentenni che tra cinquanta sessantenni, no?”.
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