Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio, 1610-15

I sentimenti non sono reato: tutti i problemi della campagna #odiareticosta

Riccardo Dal Ferro

Più che reprimere l’odio bisogna forse imparare a #odiaremeglio

Dai processi alle emozioni ai processi alle intenzioni il passo è molto breve. E così come non possiamo processare le intenzioni, poiché avere un’intenzione non è un delitto, non possiamo sanzionare un’emozione perché, per quanto possa essere terribile, provare un sentimento non è un reato. Da qualche giorno imperversa la campagna #odiareticosta, promossa dallo studio legale Wildside e l’associazione Tlon, che si propone di “garantire che a ogni commento d’odio in rete corrisponda un risarcimento danni”. L’iniziativa, che dovrebbe trasmettere l’idea secondo cui se spargi odio paghi di tasca tua, ha preso una brutta piega.

 

In primo luogo è passata in fretta dal dare assistenza legale alle vittime di odio all’informare e “consigliare un legale di fiducia” alle stesse – cosa che contraddice le intenzioni sostenute al lancio. In secondo luogo, la campagna ha visto l’adesione per esempio di Michela Murgia, la quale arriva a dire che “augurare la morte o lo stupro non è un’opinione ma un reato”. Alla Murgia devo far notare che, per quanto sia terribile un commento in cui si augura la morte di qualcuno, non può essere un reato per diversi motivi: primo su tutti, non siamo superstiziosi e non posso credere che se un autobus mi investe per strada allora è colpa del tizio che mi ha augurato un coccolone; in secondo luogo, augurio e minaccia sono cose diverse e in democrazia si sanzionano le azioni, non le parole, per fortuna. In ultima istanza, “augurare la morte” è un’espressione che racchiude un vasto spettro di frasi e formule innocue: dal “ti venisse un accidente” al “che te possino ammazzatte”. Dovremmo mandare in galera tutti?

 

Ma il vero problema della campagna #odiareticosta è di natura squisitamente concettuale, ed è qui che mi piacerebbe porre maggiormente l’attenzione: rivendico il mio diritto di odiare, semplicemente perché nessuno può impedirmi di provare sentimenti, positivi o negativi che siano.

 

L’odio non è il nemico, l’odio non può essere sanzionato per lo stesso motivo per il quale non possiamo processare le intenzioni. Io, come tutti, odio moltissime cose. Alcune le odio “bene”, altre le odio “male”. Tra le cose che odio bene ci sono: i complottisti dell’allunaggio, i comizi di Salvini, le comparsate di Sgarbi, i libri di Evola, chi si approfitta di tragedie e ignoranza. Tra le cose che odio male ci sono: i risvoltini, la musica reggae, i video di unboxing, LeBron James. La differenza tra le cose che odio bene e quelle che odio male è che per le prime provo un odio ragionato, consapevole e motivato, per le seconde sento un disprezzo istintivo, irrazionale e distruttivo. Ma ciò che accomuna i due gruppi è che non posso fare a meno di odiarli! Non posso decidere di spegnere l’interruttore e diventare d’un tratto una persona priva di odio.

 

Odiare inoltre è un processo importante per la formazione della personalità: se non avessi imparato a odiare fascisti e comunisti non avrei mai raggiunto un certo grado di consapevolezza delle mie idee libertarie, e se non avessi amato odiare gli sproloqui di alcuni personaggi televisivi non avrei mai capito il valore di sapersi esprimere con eloquenza ed eleganza. Perciò, odiare non può costare, provare un sentimento non può essere sanzionato e anzi, bisognerebbe incoraggiare un certo tipo di attenzione persino nei confronti dell’odio: impara a odiare meglio (la lanciamo la campagna #odiaremeglio?), impara a distinguere tra l’odio ragionato e quello istintivo, prova a conoscere i motivi profondi che ti spingono a odiare, così come quelli che ti spingono ad amare, a divertirti, e a provare tutto lo spettro di emozioni di cui l’odio, la rabbia e persino la cattiveria fanno inevitabilmente parte.

  

La campagna #odiareticosta immagina un mondo che per fortuna non esiste, in cui da un lato ci sono i puri di cuore e di spirito, vittime che usano questo hashtag per avere giustizia; dall’altro ci sono gli odiatori, i rabbiosi, i malvagi, i quali non fanno altro che spargere cattiveria per il web. Ma non si sa bene perché Matteo Salvini non dovrebbe chiedere il patrocinio alla campagna, dal momento che ogni giorno è bersagliato da minacce di morte e auguri umanamente deprecabili. Così come non si sa bene perché Michela Murgia, che in passato ha avvelenato molti pozzi del dibattito pubblico (ricordate il “fascistometro”? E quando disse che “nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po’ come essere figli maschi di un boss mafioso”?), possa essere promotrice di una campagna di cui lei stessa dovrebbe essere oggetto critico.

  

Il sospetto è che la vera intenzione dietro a #odiareticosta sia quella di usare un messaggio confuso e sbagliato per accaparrarsi visibilità nell’epoca in cui la polarizzazione tra hate speech e libertà di espressione ha preso toni da far west.

   

Ma dal momento che io ho stima delle persone che stanno dietro all’associaizone Tlon (che è anche la casa editrice che ha pubblicato il sottoscritto) voglio sperare che si tratti di una campagna nata nelle migliori intenzioni che però è sfuggita di mano e si è trasformata, come prevedibile, in qualcosa di brutto.

   

In conclusione, vorrei far notare che sì, il problema del dibattito pubblico è reale e il livello di veleno presente tra commenti e opinioni è altissimo. Ma non è processando le emozioni che ne usciremo sani. Vorrei poter dire all’odiatore che sta dentro ognuno di noi: “Impara ad odiare meglio, odia ragionevolmente e non odiare perché qualcuno ti ha detto di farlo”. Perché in fin dei conti (e un filosofo lo dovrebbe sapere molto bene) un tizio che con nome e cognome in un commento pubblico augura la morte a Carola Rackete o a Matteo Salvini non sta odiando consapevolmente, sta odiando perché qualcuno gli ha detto di farlo: è manipolato, distorto, vittima di propaganda – il che non significa che non sia responsabile di ciò che ha fatto. E’ la carne da macello di quella propaganda.

  

La filosofia insegna che se Socrate ha accettato serenamente di andare a morire perché una città di odiatori manipolati ha deciso di ammazzarlo, allora tutti possiamo sopportare qualche demente che, privato dell’amor proprio e della capacità intellettiva, ci augura la morte. Io brinderò a quell’augurio, possibilmente con dello spritz e non con un calice di cicuta. E lo odierò, ma odiandolo bene.

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