Sulle tracce della Madonna
Pellegrinaggio in sette santuari mariani, per sentire il soffio dello Spirito. Non a piedi ma comodamente in macchina. E lontano da Roma, perché “chi Roma vede, perde la fede”
Per questa estate abbiamo scelto di chiedere ad alcuni scrittori qual è stato il viaggio che ha cambiato loro la vita, il viaggio di cui portano ancora i segni addosso. Fuga, meta sognata, coincidenza, scoperta casuale: il luogo, ma anche il percorso di per sé, i chilometri a piedi, in bicicletta o in auto, il partire per partire, l’avanzare in una terra nuova. Il cercare e trovare (cose che abbiamo immaginato o visto da qualche parte in altra forma, persone che ci aspettiamo trepidanti di incontrare) e lo scoprire. In tanti modi un viaggio può farsi memorabile e degno di essere raccontato. E in modi diversi gli scrittori racconteranno il loro viaggio ai lettori del Foglio. Abbiamo già pubblicato: “Un rave per Lisbona” di Vanni Santoni (il 10 luglio), “Danzare, forse, volare via” di Antonella Lattanzi (il 16 luglio), “Nudo sulla mia Saab” di Aurelio Picca (il 23 luglio), "L'India dei miei sospiri" di Gaia Manzini (il 28 luglio), "Giro del mondo in prima classe" di Giacomo Papi (il 30 luglio), "La Grecia vista dal Babilonia" di Ilaria Macchia (il 4 agosto), "Fuga all’Avana" di Marco Archetti (il 7 agosto), “L’impostore di Reykjavík” di Claudio Giunta (10 agosto), "In fondo alla Crimea" di Corrado Beldì (il 14 agosto).
Scrivi del viaggio che ti ha cambiato la vita, mi dice Cerasa il Pungolatore. Ma chi si ricorda, dico io. Dal punto di vista autobiografico sono uno smemorato ed è un privilegio, non ho un’infanzia da rimpiangere, un’adolescenza da rievocare, non sono solito voltarmi indietro e se mi capita di farlo vedo solo fantasmi, forme indistinte. I morti devono essere seppelliti dai morti, dice il mio antinostalgico maestro. Non sono un passatista ma certamente sono un conservatore: se faccio la fatica di muovermi non è per cambiare la vita bensì per conservarla, per mantenerla così com’è ossia imperfetta, molto imperfetta, eppure migliore di qualsivoglia altra vita che mi attende, temo. Conservare questa vita, questo stile di vita, significa innanzitutto conservare la fede che mi ha animato finora e adesso sento nelle orecchie il San Paolo vecchio della Seconda lettera a Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Io non so se ho combattuto la buona battaglia, non so se ho terminato la corsa, e a questo punto non sono nemmeno certissimo di aver conservato la fede. Voglia di credere ne ho sempre: ma in cosa è possibile credere ora? Nel Vangelo secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni o nel Vangelo secondo i vescovi? Nel Messale Romano o nell’Osservatore Romano? Nella Chiesa che in innumerevoli immagini mostrava i peccatori all’inferno o nella Chiesa che si inchina, dimentica e schizofrenica, a Maometto e a Sodoma? L’idea di credere in Cristo a dispetto del Papa mi turba, sono refrattario al protestantesimo a cominciare dalla parola che puzza di politica (è la politica a nutrirsi di protesta, la religione si nutre di adesione). Ho deciso di chiedere aiuto a sua madre e per farlo voglio organizzare un viaggio nei santuari mariani d’Italia, tutti ecclesialmente supercertificati, per non aggiungere dubbio al dubbio.
Se faccio la fatica di muovermi non è per cambiare la vita bensì per conservarla, per mantenerla così com’è ossia imperfetta
Secondo Sant’Agostino il numero perfetto è il sei, secondo innumerevoli altri autori innanzitutto biblici è il sette (le sette chiese, le sette meraviglie, i sette giorni, le sette note, i sette sacramenti, i sette peccati, i sette gradini del Tempio nella visione di Ezechiele…). Saranno perciò sette i santuari visitati. Il primo sarà Adro, la Madonna della Neve, un nome che già mi rinfresca. Il secondo sarà Bologna, la Madonna di San Luca, dolce epifania di moltissimi miei viaggi e spostamenti. Il terzo sarà Siena, la Madonna di Provenzano, siccome Antonio Socci ha insistito tanto. Il quarto sarà Loreto, appunto la Madonna di Loreto che ho appena saputo essere intimamente legata alla vittoria di Lepanto. Il quinto sarà Casalbordino, la Madonna dei Miracoli, nell’Abruzzo amato. Il sesto sarà Capurso, la Madonna del Pozzo, sulla cui facciata di un bianco abbagliante c’è scritto a grandi lettere nere “REALE BASILICA”. Il settimo sarà Leuca, Santa Maria de Finibus Terrae, per toccare il termine e possibilmente rimbalzare. Devo spiegare meglio i criteri di scelta. Ho evitato i santuari che frequento abitualmente perché l’abitudine intiepidisce. Non posso sperare una risposta nuova se ho l’atteggiamento vecchio di chi entra per la millesima volta in Steccata, a Parma, o in Ghiara, a Reggio Emilia. Vicino casa avrei anche la Madonna di Fontanellato ma purtroppo di quel santuario ricordo soltanto le candele finte. Non ricordo la messa, l’omelia, i canti, fu talmente forte lo stridore estetico che rammento solo una selva di candele elettriche, e non penso sia ragionevole cercare verità dove dilaga l’inautentico.
So bene che lo Spirito soffia dove vuole, anche dentro una cabina dell’Enel, eventualmente, ma i miei sensi ottusi abbisognano di luoghi e atmosfere che il soffio amplifichino e me lo rendano percepibile. Sono contrario agli eccessi e assieme a ciò che mi risulta troppo conosciuto ho evitato ciò che mi risulta troppo remoto, troppo scomodo. Pertanto niente santuari sulle isole o sulle vette. Cerco una risposta riguardo la mia vita spirituale, non la mia forma fisica. Non ho nessuna intenzione di farmi venire le vesciche ai piedi. Elio Paoloni, nel suo ultimo libro sul Cammino di Santiago, scrive che, potendo, i pellegrini del passato “avrebbero di sicuro preso posto sulla diligenza a motore. Solo motivazioni economiche impedivano alla maggioranza di usare il cavallo per il pellegrinaggio”. Il pellegrinaggio a piedi contemporaneo oltre all’odore di sudore emana un sentore di kitsch, di fasullo, e non credo sia un caso che Medjugorje, dove tutti o quasi tutti vanno modestamente a motore, produca molte più conversioni di Santiago, dove tutti o quasi tutti vanno eroicamente a muscoli. Io mi muoverò su quattro ruote, confortato dall’aria condizionata e dalla radio. Mi dispiace soltanto di avere una macchina a benzina anziché diesel, forse più inquinante e certo più polemica verso le affermazioni ambiental-panteiste della “Laudato si’” (documento a mio avviso ben più eretico della “Amoris laetitia”, enciclica para-protestante ma non così ex-cristiana). A proposito: l’amico lettore potrebbe aver notato che nella lista non c’è nessun santuario romano, nemmeno laziale. Mi dispiace ma non me lo posso spiritualmente permettere: “Chi Roma vede / perde la fede” è un vecchio adagio sempre attuale. Fuggire mediaticamente padre Spadaro e Andrea Tornielli non basta, bisogna anche fuggire fisicamente il Vaticano, tenerlo a distanza. “Roma perderà la fede e diventerà la sede dell’Anticristo”, profetizzò la Madonna a La Salette senza specificare l’anno. “Estote parati” c’è scritto nel Vangelo, e l’anno potrebbe benissimo essere il 2019, chi può escluderlo. Il viaggio lo immagino così.
Madonna della Neve (Adro). Parma-Adro sono circa due ore, si esce a Rovato, il paese del manzo all’olio, e subito si entra in Franciacorta, la zona del simil-champagne. Parto di lunedì, nei giorni feriali le messe sono poche e per assistere a quella delle nove devo mettere la sveglia alle sei e cercare di alzarmi davvero, anziché farla tacere con una sberla come faccio di solito. Voglio fare la conoscenza di padre Sicari, il carmelitano di cui Costanza Miriano mi ha parlato tanto bene. E ripetere a lui la domanda appena fatta alla Madonna: “E’ possibile partecipare alla Santa Messa se si pensa, specie quando viene citato dal sacerdote nella preghiera eucaristica, che il Papa sia eretico?”. Il padre è un uomo di Dio, porta la tonaca, ha scritto libri considerevoli sulle vite dei Santi, potrebbe aiutarmi. Se non è presente mi rivolgo a un altro carmelitano: l’ordine, con le sue radici mistiche (Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce), mi ispira fiducia nel suo complesso. Quindi partenza per Desenzano, dalla parte opposta della provincia, sul Garda. Calcolo un’ora di strada per formulare la medesima domanda a Vittorio Messori. Ho scelto un santuario bresciano proprio per poterlo incontrare, la mia passione per l’ortodossia si alimentò del “Rapporto sulla fede”, la sua antica intervista al cardinale Ratzinger. Lo leggo da decenni, ci scriviamo da anni e non ci siamo visti mai, come se abitassimo in continenti diversi... Magari mi invita a pranzo, magari no e devo accontentarmi di qualcosa al bar, poi mi dirigo verso Bologna dove arrivo in un paio d’ore.
Oggi, il pellegrinaggio a piedi oltre all’odore di sudore emana un sentore di kitsch, di fasullo. Meglio Medjugorje di SantiagoLa tristezza dei portoni chiusi. Il pittore Gasparro, oberato dalle commissioni: tutti desiderosi di farsi dipingere un santo o un Cristo
Madonna di San Luca (Bologna). Niente alberghi di charme, non è un viaggio romantico e va bene, anzi va meglio, l’anonimo Novotel della Fiera. Potrei bere qualcosa col poeta Davide Rondoni o con l’avvocato antidivorzista Massimiliano Fiorin, se sono in città, e andare a letto presto perché sono stanchissimo. Caro m’è il sonno. Al mattino appuntamento alle nove e mezza all’arco del Meloncello con la poetessa Francesca Serragnoli, di cui ammiro la fede serena. In un passaggio esistenziale difficile mi diede un consiglio semplice e geniale, all’apparenza amorale e in sostanza arcicristiano (che il cristianesimo non sia una morale è stato detto mille volte, da Kierkegaard, da don Giussani, da molti altri, ma bisogna ripeterlo sempre perché sembra non l’abbia capito nessuno, e forse sono scemi oppure lo fanno apposta per il facile piacere di rinfacciare ai cattolici qualcuna delle loro numerose colpe). Non ebbi il coraggio di seguirlo, il consiglio di Francesca, ma lo ricorderò per sempre. Adesso sono bramoso di conoscere la sua risposta alla mia domanda su messa e Papa, potrebbe stupirmi anche stavolta. Leggo che la salita a piedi dal Meloncello al santuario richiede trenta minuti, a me sembrano pochi anche perché non voglio fare corse (vesciche e sudore vade retro), e per non rischiare di far tardi alla messa delle dieci e trenta mi sono tenuto largo. Scenderemo ovviamente in taxi e pranzeremo da qualche parte, prima della mia partenza per la Toscana.
Santa Maria di Provenzano (Siena). Bologna-Siena sono due ore abbondanti, facciamo due ore e mezza, chi va piano va sano e arriva tranquillo nel santuario mariano legato al Palio del 2 luglio. Socci voleva mandarmi in Duomo, “sì assalito da fiumi di turisti, ma definisce l’identità mariana di tutta la città”. Io devo definire l’identità mariana e cristiana mia, e nelle chiese con biglietteria, spelonche di simoniaci, posso definire al massimo il mio profilo Instagram. Perciò niente Duomo, e arrivo alla messa delle sei e mezza nella collegiata che Socci mi garantisce “senza turisti. E’ sconosciuta”. Non capisco come possa essere sconosciuta una chiesa a trecento metri da Piazza del Campo, ma devo fidarmi. E magari trovarmi lì un po’ prima per ammirare il quadro dell’eccellente pittore Giovanni Gasparro dedicato (nel 2016, lo preciso per i somari secondo i quali non esiste più arte sacra) alla Beata Anna Maria Taigi. Faccio anche a lei, oltre che a Maria, la solita domanda. La Beata senese ebbe in dono per 47 anni un disco luminoso dentro il quale vedeva gli avvenimenti della Chiesa del tempo, e chissà che non mi illumini sulle sorti della Chiesa di oggi. Poi naturalmente ne parlo con Socci a cena: se non è Francesco, il Papa chi è?
Madonna di Loreto (Loreto). Prima di partire saluto la scrittrice Marta Zura-Puntaroni alla quale non pongo domande religiose visto che su Instagram non fa che pubblicare gatti (sacerdotessa di un culto neo-egizio?). Siena-Loreto è un vero viaggio, lo spostamento più lungo di questo pellegrinaggio in sette tappe, direi tre ore e mezza nel cuore segreto d’Italia, non fondale bensì protagonista spirituale di un libro oltremodo affascinante di Flavio Cuniberto, “Paesaggi del Regno”. Con un altro libro, “Madonna Povertà”, il filosofo che insegna a Perugia mi ha confermato la natura ereticale della “Laudato si’”: “La riconversione eco-teologica proposta dall’enciclica delinea un cristianesimo senza Croce e senza Incarnazione, dove la figura storica di Gesù non è più fondante. Quel che rimane è una sorta di deismo neo-illuministico”. Urge pertanto attraversare l’Umbria e valicare il Colfiorito per chiedere il da farsi alla Virgo Lauretana. A lei si votarono i combattenti di Lepanto, davanti a lei pregarono i vincitori dei musulmani, Marcantonio Colonna e don Giovanni d’Austria, che non avrebbero rischiato la vita se il loro Papa anziché Pio V fosse stato Francesco I, secondo il quale Cristo e Maometto pari sono (si legga in proposito il documento di Abu Dhabi sulla fratellanza umana, firmato il 4 febbraio di quest’anno insieme al Grande Imam, testo evidentissimamente infettato dalla “peste dell’indifferentismo”, per usare l’espressione di Pio IX nel Sillabo). Messa alle cinque, cena al ristorante Andreina (arruolare un commensale) onde assaggiare il cristianissimo agnello di sopravissana con coratella e animelle.
Madonna dei Miracoli (Casalbordino). Parto con calma nel primo pomeriggio tanto Casalbordino dista da Loreto non più di due ore e un quarto, e nei giorni feriali la messa pomeridiana è alle sei. Ho scelto questo santuario abruzzese perché memore di un gran quadro michettiano, perché sull’itinerario per Leuca, perché l’ho sfiorato cento volte (è a soli quattro chilometri dal casello di Vasto Nord) senza mai visitarlo. So bene che non vedrò il cristianesimo furioso descritto da D’Annunzio e Michetti e da frate Giustino nel 1869, colpito dai devoti che “prostrandosi con tutta la persona sul polverosissimo suolo, fan solco, tra la molta polvere, con la lingua che strisciano per terra fino all’altare di Maria”. Pazienza. Chiederò alla Madonna se la Chiesa dei castighi divini e quella della misericordia troppo umana sono la stessa Chiesa: lo chiederò proprio a colei che nel 1576 addebitò l’alluvione di Casalbordino ai peccati degli uomini, mentre nel 2016 padre Giovanni Cavalcoli dopo avere ipotizzato analoga causa per i terremoti del Centro Italia venne espulso da Radio Maria e semisospeso a divinis con divieto di predica.
“E’ possibile partecipare alla Santa Messa se si pensa, specie quando viene citato nella preghiera eucaristica, che il Papa sia eretico?”
Madonna del Pozzo (Capurso). Ci sono passato poche settimane fa ed erano chiuse entrambe le chiese, sia il santuario sia la cappella dell’apparizione appena fuori dal paese. Questa dei portoni chiusi, perfino dei portoni dei santuari, è una tristezza. Bisogna sempre informarsi prima: a Capurso la messa è alle sette, dunque nel pomeriggio, partendo da Trani dove ho dormito, posso agevolmente andare a trovare a Bari don Nicola Bux. Il grande liturgista è la persona giusta per rispondere alla solita domanda, che ripeto: “E’ possibile partecipare alla Santa Messa se si pensa, specie quando viene citato dal sacerdote nella preghiera eucaristica, che il Papa sia eretico?”. Dopo la messa francescana nel santuario borbonico (la grande scritta “REALE BASILICA” sulla facciata mi commuove molto) cena col pittore Gasparro, che abita guarda caso in un comune vicinissimo, Adelfia. Mi conferma di essere oberato dalle commissioni, sia di preti sia di laici, tutti desiderosi di farsi dipingere un Santo, un Cristo o una Madonna. Ne sono rincuorato: se il Figlio dell’uomo tornasse oggi troverebbe ancora un po’ di fede sulla terra.
Santa Maria de Finibus Terrae (Santa Maria di Leuca). La Puglia è interminabile, quando sei in Terra di Bari ti illudi di essere arrivato e invece hai davanti tutta la Terra d’Otranto: il Sud del Sud dei Santi e dei bagnanti. Certo l’estate non è il momento migliore per spingersi nel cosiddetto Salento ma, come canta Giovanni Lindo Ferretti, “le circostanze non sono favorevoli / e quando mai / bisognerebbe bisognerebbe niente / bisogna quello che è bisogna il presente”. Il santuario venne distrutto dai maomettani non so quante volte, basterebbe un’infarinatura di storia per diffidare del multiculturalismo bergogliano che invece entusiasma Luigino Bruni, economista invasionista collaboratore di Avvenire, convinto che debba limitarmi a “scrivere di sagre e porchette. Il cristianesimo è cosa seria”. Come se le sagre e le porchette non fossero per l’appunto cristianesimo, come se lo scherno di questi pretoriani non svelasse il loro settarismo, il loro manicheismo, dunque il loro anticattolicesimo. Ma non voglio pensarci, è domenica. Arrivo sul promontorio dove finisce l’Acquedotto Pugliese, la Puglia, l’Italia, dove finiva la cittadinanza romana (oltre c’era l’Oriente), dove sbarcò San Pietro diretto verso il martirio, dove si dividono le masse d’acqua dell’Adriatico e dello Ionio, ed entro nella chiesa relativamente spoglia, merito delle fiamme saracene, e mi inginocchio davanti alla Consolatrice degli afflitti: se la terra finisce, che non finisca la mia fede, se la terra finisce, che cominci il cielo.
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