Fratelli islamici e purgati del MeToo
Kevin Spacey canta per strada. Tariq Ramadan si difende in prima serata tv. Garantisti solo con l’intellò musulmano tribuno delle periferie e delle minoranze
Roma. Nell’ultimo mese, Kevin Spacey è ricomparso in pubblico. La prima volta al Palazzo Massimo di Roma, in occasione di un happening poetico. La seconda, qualche giorno fa, a Siviglia. Lo hanno visto cantare “La bamba” per strada. Il celebre attore, uno dei purgati più noti del movimento MeToo, è virtualmente morto per la televisione e il cinema, anche se le accuse di molestie sessuali a suo carico sono decadute in tribunale. Poi c’è Leon Wieseltier, già potente editor letterario di New Republic, reo di avances inappropriate in redazione. A tre anni dal caso, Wieseltier è ancora “non persona”. E’ stato “avvistato” fra il pubblico durante la presentazione di un libro a Washington. Poi c’è Tariq Ramadan.
Le accuse contro il famoso intellettuale islamico non sono neanche paragonabili a quelle di altri accusati del MeToo. Secondo le accuse, Ramadan sarebbe colpevole di stupro ai danni di sei donne, da Henda Ayari a “Christelle” passando per Mounia Rabbouj, fino a un’altra donna apparsa questa settimana sulla copertina di Libération. Ramadan sta rispondendo alle accuse con una campagna mediatica impressionante, grazie anche ai media francesi che si prestano. Ramadan ha rilasciato un’intervista a Jean-Jacques Bourdin di Bfm Tv, paragonandosi ad Alfred Dreyfus, il capitano alsaziano di origine ebraica, accusato ingiustamente di aver tradito la patria e favorito la Germania. “Nessuno può ignorare il razzismo antimusulmano che si è insediato nel paese, sembra riprodursi il caso Dreyfus, ieri per gli ebrei, oggi per i musulmani”, ha detto Ramadan.
Per difendersi dalle accuse, Ramadan ha anche pubblicato un libro, “Devoir de vérité”. La magistratura ha dato il via libera all’uscita, nonostante la richiesta delle accusatrici di impedirne la pubblicazione. Scrive su Le Parisien la portavoce dei Républicains, Lydia Guirous: “Ramadan soffia sulle braci perché sa di avere ancora un’influenza importante su una popolazione giovane, che vive nel rifiuto della nostra società, dei nostri valori e pronta ad accettare ogni teoria del complotto. Il suo desiderio di essere il leader della parte radicalizzata della Francia è più forte che mai. La data di pubblicazione del libro, l’11 settembre, non è casuale. Tariq Ramadan vuole che questo processo non sia solo quello di Tariq Ramadan accusato di stupro da sei donne, ma che diventi il mezzo di comunicazione di una comunità contro il sistema giudiziario, contro la Francia. Il pericolo per la nostra società è che venga ascoltato ...”.
Il punto non è neppure il diritto di Ramadan di difendersi, dovrebbe valere per tutti in una società garantista e non basata sulla sharia (come piacerebbe all’accusato). Ramadan si sta difendendo e anche molto bene. Libri, conferenze, prime serate televisive. Il punto è il doppio standard. Morte virtuale per i purgati occidentali del MeToo. Grancassa mediatica per il nipote del fondatore dei Fratelli musulmani, il paladino dei borghesi che perora un “islam moderato” potabile nei salotti e nelle cancellerie europee. Il segreto sta dunque tutto nel vittimismo. Nessuno crede più a quello del maschio bianco occidentale. Seduce molto invece quello dell’intellò islamico tribuno delle periferie e delle minoranze. Perché come ha detto la senatrice socialista Samia Ghali, nel caso di Tariq Ramadan è il “musulmano” e non “l’uomo” a essere giudicato dalla giustizia. L’uomo potrà anche essere colpevole, il musulmano no.
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