Gentili hater, sfogatevi pure sui social, tanto non contano. Parola di pm
La procura di Roma vuole archiviare la querela di Fedez
Roma. Odiatori che insultate e vituperate su Twitter, accomodatevi e sfogatevi pure. E, se potete, perdonateci per quando vi davamo dei leoni da tastiera, dei vigliacchi elargitori d’odio: sbagliavamo, davamo troppa importanza tanto a voi quanto ai vostri mezzi.
I social network non sono testate giornalistiche, sono frequentati da chiunque per dire qualunque cosa, quindi quello che ci leggiamo sopra, “espressioni denigratorie” e turpiloqui compresi, “godono di scarsa considerazione e credibilità”. Questa è la motivazione con la quale il pm Caterina Sgrò della Procura di Roma ha argomentato la richiesta di archiviazione di una querela per diffamazione al giudice per le indagini preliminari. Il queralante è Fedez, la querelata è Daniela Martani, ex concorrente del Grande Fratello, che nei caldi giorni dell’Italia indignata per il lattuga gate, quando i Ferragnez osarono tenere un party in un supermercato e filmarono alcuni dei loro invitati mentre giocavano a lanciarsi un cespo d’ insalata e un panettone ( imballato), così twittò: “Ve lo dico da anni che quei due sono idioti palloni gonfiati irrispettosi della vita delle persone e degli animali”.
Non c’è niente che sia per sempre, e va bene che gli influencer influenzano di meno, e Instagram comincia a perdere il peso che aveva, e Facebook pare stia diventando il telefono dei pensionati, ma che non li consideri più nessuno è una notizia fortemente esagerata. Che i giornali siano (ritenuti) fonti autorevoli, invece, è un pensiero stupendo, una meravigliosa utopia.
Delle motivazioni di Sgrò ha scritto Giampiero Mughini su Dagospia: “Sacrosanto, non si poteva dire meglio. Solo che a questo punto ne viene cambiata tutta l’architettura della comunicazione odierna, dove i tweet hanno un posto centrale, addirittura soverchiante”. I tweet fanno storia, notizia, primavere, radicalizzazione, bullismo, apologia di fascismo e nazismo e sessismo, e sono anni che lo sosteniamo, e ci impegniamo per imparare a usarli in modo almeno civile.
E adesso? Contrordine? Buttiamo tutto all’aria? Torniamo a un anno a caso della Prima Repubblica (sarebbe bello, uh quanto sarebbe bello)? Non chiudiamo internet ma facciamo finta che sia irrilevante?
“Lo squadrismo digitale per far abbassare la testa alle donne è un metodo diffuso di questi tempi e non dobbiamo subirlo”, ha detto una volta Laura Boldrini, che di schifezze a mezzo Twitter ne ha ricevute a valanga, fino a decidere di denunciare chi gliene recapitava, dichiarandosi anche disponibile, con gli eventuali risarcimenti, a finanziare progetti di educazione digitale per i ragazzi.
Ammesso che il fine giustifica i mezzi, possono i mezzi delegittimare un reato? Cosa raccomanderemo ai ragazzini (e pure a quelli più grandi, che forse sono la maggior parte degli odiatori virtuali, ma l’indagine sull’età media dei leoni da tastiera la faremo un’altra volta)? Menatevi su Twitter ma non per strada? Siate duri senza perdere la vigliaccheria?
A guardare la questione da un punto di vista strettamente legale, quella di Sgrò è una posizione che può avere delle ragioni, tutte rintracciabili nell’articolazione del reato di diffamazione e delle sue circostanze, così come sono descritte dal nostro codice penale. E’ però sull’impatto culturale della cosa che dovremmo ragionare. E sull’idea di limite che andiamo elaborando: se vogliamo mescolarla a quella di censura o a quella di responsabilità, una delle complicazioni della libertà che, come tutte le complicazioni, la avvalora.
P. S. Un effetto secondario odioso delle motivazioni di Sgrò potrebbe essere che a qualcuno venga in mente che ai Ferragnez, in quanto Ferragnez, si possa lanciare appresso tutto, dalle lattughe alle calunnie. Ma già, questo è già successo.
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