L'umore dei popoli
Il Cile, il Libano, la Francia e poi l’eccezione inglese. Non so dare consigli se non sbagliati, ma fossi al governo farei attenzione al biglietto del tram, al prezzo della benzina e al gioco vario dei telefonini: non provocare se non vuoi essere provocato
Che cosa sarebbe successo in Italia se Giuseppi e i suoi fratelli avessero messo l’imposta sulle sim ricaricabili? Chissà. Noi i forconi li abbiamo mandati al governo, in un anno e mezzo hanno scontentato sé stessi e il pubblico, parecchio, e sono rientrati nella vecchia politica (centrodestra, centro trattino sinistra), mettendosi per di più un po’ di cravatta. Da noi il consumatore violento ancora non s’è visto, e si capisce. Non si vide il gilet giallo infuriato per l’incremento di prezzo del carburante via accise benintenzionate sul diesel. Il Libano in fiamme per un balzello sulla comunicazione WhatsApp è lontano. Il Cile, venti morti e insurrezione e distruzione di parte del metrò di Santiago per un aumento del biglietto da 0,98 euro a 1,02 euro, è ancora più lontano. Il Veneto sarà separatista, ma non è la Catalogna. Non siamo messi come gli haitiani, gli iracheni, i sudanesi tutti a protestare duramente per il caropane e il caropetrolio. Stavamo a scongiurare Caracas, fino a due mesi fa, ma per obiettività bisogna rilevare la fortuna quando si presenta all’appello. E tuttavia, fossi il kompagno Gualtieri, farei attenzione prima di mettere nuove imposte sul consumo: l’umore di popoli in merito è nero, e i prezzi sono temuti più dei salari bassi e della famosa macelleria sociale.
Secondo l’ufficio statistico britannico gli indici di soddisfazione per la propria vita salgono da sette anni, Brexit o non Brexit, e quelli dell’ansia per il futuro calano in modo corrispondente, con la sola moderata eccezione dell’Irlanda del nord (e si capisce). In Francia come sempre c’è la grogne, il mugugno, da dicembre ripartono gli scioperi dei treni per via delle pensioni in via di riforma. Gli agricoltori sono imbufaliti, stavolta perché i prezzi dei prodotti risultano troppo bassi, e poi sono stufi degli attacchi dei vegani agli allevatori, triplicati: “Pour sauver un paysan/mangez un végan”, è scritto sui cartelli della protesta, per salvare un contadino mangiatevi un vegano. Naturalmente il potere d’acquisto è salito parecchio, lo dicono tutti gli indici, e la disoccupazione decresce costantemente. E’ un saliscendi, ma in complesso da Hong Kong all’Egitto, pane e libertà, le proteste senz’altro leader che i social, e le violenze digitali (anche in Uganda c’è preoccupazione per le sim, riferisce su Bloomberg Tyler Cowen) e carnali si moltiplicano.
Secondo Cowen internet fornisce il minimo comune denominatore per proteste dure, violente, in cui il consumatore è la nuova soggettività della lotta di classe, per dirla con Bertinotti o forse con Toni Negri, e non importa se il paese è ricco o povero, eguale o diseguale (Cile e Haiti sono anche loro molto distanti), e non importa la pianificazione o il mercato aperto, il problema è congelare l’aumento dei prezzi, cosa di gran lunga più facile da ottenere, con metodi spicci e generalizzati dai social, che non l’aumento del reddito. Sarà complicato tradurre la lotta dei paesi ricchi per e contro il clima in una sequenza di politiche popolari, pare che il nitrogeno sia un mezzo indispensabile di lavoro anche per i contadini olandesi, che pure non vivono proprio nel paese più povero della terra. Per l’editorialista di Bloomberg la faccenda non si disloca intorno alle nuove diseguaglianze cosiddette e nemmeno intorno agli indici di povertà, c’è l’esplosiva malattia dell’economia reale, certo, ma soprattutto il gioco delle aspettative alte e crescenti.
Non so dare consigli se non sbagliati, ma fossi al governo farei attenzione al biglietto del tram, al prezzo della benzina e al gioco vario dei telefonini: non provocare se non vuoi essere provocato. Il reddito di cittadinanza è andato così così, proviamo con il prezzo di cittadinanza se vogliamo evitare cagnare popolari che arrivano dal web e finiscono in strada.
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