C'è Vita nei Next 25
Il compleanno del magazine del non profit: non solo festa ma un convegno sui modelli di società futuri
Milano. Ottimismo, ma con juicio, è anche festeggiare i primi 25 anni senza perdersi in nostalgie da ricchi, come direbbe Guccini. E pensare invece a “The Netx 25”. I prossimi 25 anni – non tanto personali, se sei un giornale, il magazine del non profit Vita: chi si occupa di socialità non può essere egoista – quanto del modello futuro della nostra società, di un welfare che sarà differente, dello sviluppo urbano, delle nuove visioni della finanza (sempre più “etiche”, alla ricerca di modelli che reggano l’urto del tempo e le richieste degli individui). Insomma i prossimi 25 di tutti. E’ la formula scelta da Vita – lunedì prossimo 25 novembre alla Triennale di Milano – per il proprio compleanno. Non una festa (ci sarà anche questa, ovvio), non un amarcord, ma uno sguardo in avanti. Un evento-convegno con l’obiettivo di immaginare, insieme a interlocutori esterni, ognuno la sua disciplina, quale spazio futuro ci sarà per il non profit, che non è una serie di sigle – per quanto i dati Istat raccontino una crescita impetuosa: 350 mila istituzioni attive per circa 850 mila dipendenti – ma un modo di essere, di pensare il sociale e quel che ci gira attorno.
Ci sarà Stefano Zamagni, economista e “teorico dell’economia civile”, a spiegare quali leve deve attivare la finanza per contribuire al bene di tutti; ci saranno Stefano Boeri, Giorgio Gori e Beppe Sala a riflettere sui modelli delle città future. Vita esordì in edicola, fondato e diretto da Riccardo Bonacina, che ancora ne coordina le attività, con una copertina rumorosa, “Croce Rossa o Croce d’oro?”, un’inchiesta sulla più grande (e sostenuta dagli enti pubblici) organizzazione di solidarietà in Italia, ma anche molto criticata dal nuovo modello di volontariato che prendeva forma in quegli anni. Siccome Vita (oggi è un mensile, un’edizione online quotidiana e una community-board editoriale cui partecipano 65 associazioni nazionali) non è egoista, ha radunato a riflettere sui “The Netx 25” del welfare anche altre grandi organizzazioni non profit nate nello stesso anno, era il 1994. Con Stefano Arduini, oggi direttore di Vita, ci saranno Anna Fasano di Banca Etica, Claudia Fiaschi del Forum Terzo Settore, Rossella Miccio di Emergency e Alberto Sinigallia di Progetto Arca: sigle che hanno cambiato l’idea del lavoro nel sociale. In quell’anno, è nato anche Transfair, ente che certifica il commercio equo e solidale. Ma dopo 25 anni, il numero monografico che va in edicola ha un altro punto di domanda, critico e autocritico: “Serve ancora il terzo settore?”. Domanda tutt’altro che autoreferenziale: parla anche a chi non ha mai messo piede in una cooperativa.
Si parla di finanza, ad esempio. Il grande passaggio, sperando che non sia maquillage, di questi anni verso un modo diverso di produrre ricchezza (il manifesto della Business Roundtable) è cruciale. Stefano Zamagni spiega perché “sempre più nell’immediato futuro, la ragion d’esistere del Terzo settore è destinata ad aumentare”. Perché se l’innovazione tecnologica è quella “che crea ed estrae valore”, poi è l’innovazione sociale, “che redistribuisce il valore creato alla società.
Lo scrittore Eraldo Affinati parla di un altro futuro: “Fin quando non saremo capaci di affidare agli adolescenti una missione da compiere, indicando gli ostacoli da superare e la fatica necessaria, non potremo mai vincere la sfida che loro stessi ci stanno lanciando”.
Non è questione di fare i bilanci, quel che è andato bene e quel che è andato meno bene, non tanto nella vita avventurosa di Vita (“comunque lunedì sarà un giorno del ringraziamento”, dice Bonacina), quanto nella crescita e poi in una certa crisi di un mondo. 25 anni fa, Vita fu l’espressione giornalistica di una massa critica, il mondo variamente del volontariato riuscì a fare entrare in agenda argomenti, e anche leggi, che prima non esistevano. Ma oggi basta guardare cosa possono fare quattro “sardine” in pochi giorni (per limitarci all’Italia) in fatto di mobilitazione, di trasmissione di messaggi. Nel monografico del mensile, Dario Di Vico riflette, senza ipocrisie, che “per il Terzo settore è necessaria una minore dipendenza dalla politica, specie quella locale”. Che occorre “un recupero di autonomia, occorre rafforzare il pensiero fino a renderlo capace di un proposizione culturale aperta, non arroccata, non polverosa”. Le società come le nostre come si governano?, si chiede. Non dall’alto. “Il Terzo settore deve presentarsi come una proposta moderna e non piagnona di governo di queste società complesse… Nessuna maggioranza parlamentare è in grado di governare società come le nostre”.