Il “razzista” Robinson Crusoe. Capolavoro osceno secondo i nuovi moralisti
Secondo Daniel Cook dell’Università di Dundee la storia dovrebbe essere rivisitata con una donna per protagonista, il Guardian vorrebbe "lasciar andare questa fiaba coloniale". Ormai non c’è scrittore che non venga considerato un bigotto reazionario
Roma. C’è chi chiede di riscriverlo secondo i dettami antirazzisti. C’è chi vorrebbe smettere di leggerlo completamente. A trecento anni dalla sua pubblicazione, “La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe” di Daniel Defoe continua a far parlare di sé. C’è un avventuriero borghese e devoto, c’è la tratta degli schiavi, ci sono i cannibali, c’è il razionalismo britannico, ce n’è abbastanza per dare sui nervi ai nuovi censori.
Così, racconta il Times, ora c’è chi vorrebbe riscrivere il romanzo perché, così com’è, “è razzista e colonialista”. Robinson Crusoe dovrebbe essere rivisitato con una donna per protagonista per rendere la storia accettabile, ha sostenuto Daniel Cook dell’Università di Dundee, il quale sostiene che la storia sia per sempre contaminata dalle azioni “razziste e suprematiste bianche” dell’omonimo naufrago. Cook ha detto che il romanzo dovrebbe essere ripensato con una protagonista femminile, meno violenta e più compassionevole. E via la descrizione degli indigeni come “selvaggi”. “Dal punto di vista dei nativi, Crusoe impone loro sistemi di idee europee. Paranoico, colpevole, ipocrita e molto altro ancora, Crusoe non è un eroe”.
Secondo l’etnologa ed esperta letteraria Susan Arndt dell’Università di Bayreuth, il romanzo parla di “un’isola tropicale deserta che brulica di fantasie coloniali”. Crusoe è dunque un “manuale per il colonialismo”. E la censura è necessaria in quanto lo scrittore britannico Defoe possedeva anche delle compagnie che si affidavano al lavoro degli schiavi. “I trecento anni di Robinson Crusoe. Perché è tempo di lasciar andare questa fiaba coloniale”, scrive sul Guardian Charles Boyle. Un anno fa, fu dato del “razzista” anche a Rudyard Kipling, quando un collettivo di studenti aveva sfregiato il testo dei versi forse più celebri del poeta vittoriano, quelli di “If”, affissi nel campus dell’università di Manchester.
Siamo nel paese dove in molte università, come a Cambridge, si vorrebbe rivisitare il curriculum per far posto agli scrittori delle minoranze e togliere di mezzo i vecchi capolavori dell’occidente bianco. Siamo nel paese dove la National Education Union, il più corposo e potente sindacato degli insegnanti del Regno Unito con cinquecentomila iscritti, è riuscita a dichiarare che “William Shakespeare era uno scrittore intensamente conservatore che ha passato un sacco di tempo a rafforzare il diritto divino dei re, quindi hai bisogno di voci diverse”.
Nelle scorse settimane c’è stata la polemica su un’altra grande scrittrice inglese, Enid Blyton, scomparsa nel 1968 e una delle più vendute di tutti i tempi, con quasi 400 milioni di copie. La Royal Mint, la zecca reale, aveva annunciato l’intenzione di dedicarle una moneta. E’ stata ritirata in quanto Blyton sarebbe “una razzista, sessista, omofoba e non una scrittrice molto apprezzata”. E non importa che Blyton avesse creato il George di “Famous Five”, sorta di antesignana intersessuale, bisessuale, trans, un personaggio che poteva dichiarare: “Odio essere una ragazza. Non lo sarò. Non mi piace fare le cose che fanno le ragazze. Mi piace fare le cose che fanno i ragazzi”.
Non importa, perché ormai nel tribunale dell’opinione pubblica, dove gli antirazzisti vestono i panni dei pm e dei giudici, non c’è scrittore che si possa salvare dall’infamia di essere considerato un bigotto reazionario. Queste fregnacce multiculturali finiranno con uno scaffale di libri vuoto.
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