Antipolitico a me? L'abbaglio dello storico
Miguel Gotor assimila una trasmissione in controtendenza com’era “L’istruttoria”, cornice del tramonto doloroso della Prima Repubblica e dei partiti, all’ondata dei progenitori delle arene in voga ancora oggi. Un falso clamoroso
Uno storico come Miguel Gotor, che ha dedicato un libro alla storia italiana del Novecento dopo averne scritto uno molto buono sul memoriale Moro, dovrebbe fare più attenzione alla cronaca recente, per Adua Giolitti e Mussolini e il resto vedremo a libro letto. Intanto ho ceduto alla vanità di leggere quel che mi riguarda in un paragrafo dell’ultima parte, passato prossimo non proprio passato remoto, e ne sono rimasto stupito e offeso anche quel tanto che è necessario. Gotor prende una mia trasmissione Fininvest dell’anno terribile e terroristico, il 1993 della piazza pulita, si chiamava “L’istruttoria”, seconda serata su Italia1, e la rovescia come un calzino. La assimila, cioè, all’ondata antipolitica, ai vari Santoro e progenitori delle arene e delle altre scemenze nazipop in voga ancora oggi.
Gotor si affida alla sua memoria di ventiduenne dell’epoca, che lo tradisce banalmente, e mette nero su bianco un falso clamoroso, almeno per me. Io facevo trash tv, e uscivo grottesco da un secchio della spazzatura, ma cantando Mozart, l’aria iniziale di Leporello. Vabbè. Lo storico ricorda il secchio e trascura il canto che lo spiegava e assurdizzava, vabbè. Poi esagera. “Antipolitica” è il suo bollo, e assimila, come dicevo, una trasmissione in totale controtendenza, che era cornice del tramonto doloroso e facinoroso della Prima Repubblica e dei partiti, che era una specie di confessionale triste, e a volte surreale, per i suoi capi trascinati nelle inchieste, colpiti da accuse infamanti. Vennero tutti: Misasi, che piangeva; Andreotti, che si difendeva dalle insinuazioni sulla mafia; Cossiga irridente; Craxi, la sera delle monetine, sfuggendo alle monetine per arrivare in studio, scortato da un centinaio di Carabinieri, con il titolo greve di Repubblica (“DA FERRARA L’ULTIMA SFIDA AL PAESE”). Ospite quasi fisso era don Gianni Baget Bozzo, che Pannella chiamava “il cappellano della Prima Repubblica”. Altro che antipolitica. Insomma, uno storico deve documentarsi e evitare svarioni così sconclusionati.
Non che la faccenda sia così importante, al di là del caso personale e della mia stizza. Ma è anche, per i risvolti pubblici, la dimostrazione della debolezza del mezzo televisivo, e dei media in generale. Uno passa i migliori anni della sua vita a difendere i malandrini politici, per distinguerli dai malandrini e basta, e per distinguersi dalle persone perbene tutte forche, fax e gogne e cappi in parlamento, eppoi arriva lo storico che imbroglia tutto e consegna agli archivi la documentazione irrisoria della sua memoria. Era già successo con un altro storico si-fa-per-dire, lo strennista inesausto Bruno Vespa, che senza parere, quando mi era capitato di raccontare qui e altrove, anche in tv da Lerner, la storia anticipata del minicolpo di D’Alema per diventare presidente del Consiglio al posto di Prodi, precorrendo tutto ora per ora, giorno per giorno, fino alla sera fatale in cui annunciai il governo D’Alema del giorno dopo, stravolse tutto attribuendo il colpo ai suoi amici democristiani Franceschini e Marini, con una cronaca infedele e arbitraria, che solo Francesco Verderami nel Corriere ebbe poi il coraggio di rivedere e smentire. Storici veri e si-fa-per-dire galoppano nella prateria dell’ambiguo, senza scrupoli talvolta. E il mondo mediatizzato, malamente mediatizzato, premia le loro castronerie, i loro veli e veline. Il che mi fa ovviamente incazzare. Formigli ammia!
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