Un mondo disabile
Dal primitivo Romito 8 fino a Stephen Hawking. La teoria che li ritiene elementi difettosi della società e l’enorme contributo che hanno dato alla storia
Dopo la Cina e l’India, la terza nazione della Terra è costituita da una eterogenea categoria di persone che vivono in tutti i paesi e che hanno problemi tra di loro diversissimi, ma la cui specificità è ben individuata, anche se spesso si fa fatica a trovare una parola esatta per definirla. Stimati tra i 650 milioni e il miliardo, a volte la lingua italiana li etichetta come handicappati, che però suona insultante. A volte come diversamente abili, termine che però, come gran parte del politically correct, piuttosto che rispetto evoca spesso battute sarcastiche: Biancaneve e i sette diversamente alti, Alì Babà e i quaranta diversamente onesti. Disabili è una via di mezzo, che però dà una idea di “non capacità” assolutamente fuorviante. Da un cieco, tanto per dirne una, inizia infatti la storia della letteratura universale: Omero. Altri ciechi hanno raggiunto le vette della letteratura di lingua inglese e spagnola: John Milton, Jorge Luis Borges. Due epilettici furono i più grandi condottieri del mondo antico: Alessandro Magno e Giulio Cesare. E un sordo inventò la musica romantica: Ludwig van Beethoven.
“Diversi” è dunque il termine che ha proposto Gian Antonio Stella, nel libro che ha appena pubblicato con Solferino (304 pp., 18 euro). Sottotitolo: “La lunga battaglia dei disabili per cambiare la storia”. Recensione a parte, l’autore di queste righe del tema ha appreso qualcosa anche perché ha aiutato Stella nelle ricerche. E tanto ne è venuto fuori, che alla fine forse solo un decimo delle storie trovate è finito nel testo andato a stampa. “Non si poteva fare di più, ma bisognerebbe recuperare qualcosa. Forse una edizione in lingua straniera…”, mi ha detto Gian Antonio. “O una serie tv”, ho fantasticato io in risposta. Nell’attesa, qualcosa possiamo mettere intanto in una pagina del Foglio, che comunque è stato una delle fonti di ispirazione. Per esempio, per un’intervista che Giulio Meotti fece nel 2008 a Peter Singer, filosofo australiano d’origine ebraica-viennese, vegetariano, animalista, “totalmente illuminista”, filantropo e teorico della filantropia, docente di Bioetica a Princeton, e fautore di una linea di eliminazione fisica dei disabili che dimostra come l’idea di risolvere il “problema” nel modo più brutale non sia un’esclusiva di società primitive o dei nazisti. Le socialdemocrazie furono anzi in prima linea nell’idea di sterilizzare gli elementi “inutili” o “tarati”; iniziarono prima di Hitler, e andarono avanti per parecchi anni dopo la sua sconfitta.
Peter Singer, filosofo, vegetariano, animalista, filantropo e fautore di una linea di eliminazione fisica dei disabili. Per gli indiani del nord America i disabili erano protetti in quanto considerati mediatori della comunità col mondo degli Spiriti
Ed è poi vero che le società “primitive” i disabili li sopprimono? Idealmente, la storia di “Diversi” inizia con Romito 8: nome che gli archeologi hanno dato allo scheletro di un calabrese vissuto 12.500 anni fa e la cui tomba è stata ritrovata in una grotta. Era caduto, probabilmente mentre cacciava. E ne aveva ricavato una grave paralisi: sicuramente al braccio sinistro; probabilmente anche alla gamba sinistra. Ma quei “primitivi” di 13 millenni fa non lo avevano abbandonato. Sopravvisse invece a lungo, e secondo gli stessi archeologi “le ossa delle gambe raccontano che rimaneva a lungo accovacciato, mentre i suoi denti, l’unica cosa sana e forte che gli era rimasta, mostrano segni di usura fino alla radice”. “Questo fa pensare che li abbia usati per un lavoro: per masticare materiale come legno tenero oppure canniccio che altri, si può ipotizzare, avrebbero utilizzato per costruire manufatti come cestini o stuoie”. Non lo avevano soppresso, ma non lo avevano neanche trattato come un soggetto inutile da mantenere per pietà. Gli avevano invece trovato un ruolo grazie al quale potesse ancora sentirsi un membro utile e stimato della pur arcaica società in cui viveva.
Vicende simili abbiamo trovato in altre società definite “arcaiche”, e per cui non c’è stato purtroppo spazio nel libro. Il cronista Garcilaso de la Vega, figlio di un Conquistador spagnolo e di una principessa Inca, documentò la legge del Perù precolombiano secondo la quale “i disabili per i lavori principali fossero impegnati in qualche esercizio in cui potessero rendersi utili nel raccogliere segatura e paglia, e nello spidocchiarsi, e che portassero i pidocchi ai loro decurioni o caposquadra. Il compito dei ciechi era pulire il cotone o il granello che ha dentro di sé, e sgranare il mais dalle pannocchia che al tatto risultassero migliori”. Per gli indiani del nord America i disabili erano protetti in quanto considerati mediatori della comunità col mondo degli Spiriti. Con una certa ambiguità che forse rivela un imbarazzo di fondo, in Giappone si praticava massicciamente la pratica dello “sfoltimento” di minori disabili, ma spesso il minore disabile era invece considerato un portafortuna, che prendendosi lui tutto il karma negativo della famiglia, la “ripuliva”, e quindi andava mantenuto e venerato. Questo dilemma nella mitologia shintoista è rappresentato nella storia della coppia cosmogonica Izanami e Izanagi, il cui figlio Hiruko fu abbandonato subito dopo la nascita perché di aspetto deforme, variamente paragonato a una medusa o a una sanguisuga. Però sopravvisse, e divenne Ebisu: il dio del mare e una delle sette divinità della felicità. Appunto, un dio portafortuna, come i gobbi per i napoletani.
Poiché in Giappone lo status dell’individuo dipendeva dalla sua capacità di contribuire alla società attraverso la sua appartenenza alle classi di samurai, contadini, artigiani o mercanti, i disabili potevano a loro volta essere accettati per capacità particolari. Per esempio, i ciechi potevano diventare cantanti, suonatori, massaggiatori o agopuntori. La tradizione per cui in molte società i non vedenti erano avviati alla musica fu formalizzata a Palermo, quando tra 1660 e 1665 per iniziativa e sotto la guida dei padri gesuiti e grazie alle donazioni di alcune famiglie, i ciechi poterono unirsi in una congregazione intitolata all’Immacolata Concezione con sede presso la Casa Professa. Lo statuto de 1828 stabilisce le regole per l’ingresso nella congregazione: la cecità, i santi costumi, l’uso di uno strumento musicale (in genere violino, chitarra e violoncello o citarruni). Dopo l’accoglienza erano necessari sei mesi di noviziato. Coloro che sapevano soltanto suonare (ma non cantare o comporre versi) dovevano pagare una tassa d’iscrizione di 4 tarì e 2 grani a settimana. I confratelli, una volta ammessi e superato il noviziato, potevano guadagnarsi da vivere cantando e suonando per le strade orazioni e storie sacre. Erano stabilite una gerarchia, un sistema assistenziale e un meccanismo di autofinanziamento. Gli “Orbi” di Palermo erano insomma divenuti una sorta di sindacato-cooperativa autogestita.
La tradizione del cieco cantore contenuta solidamente nell’epoca del Pop: da Stevie Wonder a José Feliciano e Andrea Bocelli. Ma anche di condottieri disabili ce ne sono stati, anche dopo Alessandro e Cesare. Per esempio, Claudio fu un imperatore romano con problemi, anche se dalle descrizioni non sappiamo bene quali: forse spastico, forse discinetico, forse vittima di una encefalite infantile con danni permanenti. Difficile anche decifrare cosa avesse effettivamente Ívarr Senz’Ossa, da quello che ne riferiscono saghe vichinghe e cronache anglosassoni. La recente serie tv “Vikings” lo ha interpretato come un uomo cui le gambe deformi impedivano di stare in piedi; vari medici contemporanei hanno ipotizzato una osteogenesi imperfetta. Quale che fosse l’invalidità non gli impedì comunque di essere un ferocissimo conquistatore e devastatore dell’Inghilterra, e un arciere infallibile: a patto di essere appoggiato a qualcosa – “Vikings” lo mostra appunto legato con i piedi a un ceppo d’albero. Senza necessariamente avere la stessa abilità con le frecce, undici secoli dopo il poliomelitico Franklin Delano Roosevelt avrebbe vinto la Seconda guerra mondiale in sedia a rotelle, e avrebbe anche imposto agli alleati Churchill e Stalin a Yalta a farsi fotografare pure loro seduti, per non far sfigurare il presidente degli Stati Uniti. Mentre il gobbo Riccardo III fu uno re re più energici e spietati d’Inghilterra, e lo zoppo Tamerlano uno dei più sanguinari conquistatori asiatici.
Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: disabile non significa debole, e neanche necessariamente simpatico. E la lista dei vip con problemi, per parafrasare i supereroi con superproblemi della Marvel, è infatti interminabile. L’epilettico e il nano che furono i grandi maestri dell’impressionismo: Henri de Toulouse-Lautrec e Vincent Van Gogh. L’altra artista affetta da spina bifida che divenne un’icona dell’arte del XX secolo esibendo senza pudore la propria deformità: Frida Kahlo. Proprio quella spina bifida i cui portatori secondo Singer dovrebbero essere fatti fuori senza pietà, nell’interesse loro e della società.
E poi i due gobbi che furono tra i massimi intellettuali dell’Italia tra XIX e XX secolo: Giacomo Leopardi e Antonio Gramsci. E anche una grande schermitrice senza braccia come Bebe Vio e un grande velocista senza gambe come Oscar Pistorius – quest’ultimo divenuto omicida, ma in qualche modo riprova che la disabilità non distingue nella capacità di fare del bene come di fare del male. Il morbo di Pott, che secondo alcune teorie era all’origine della gobba di Giacomo Leopardi e sicuramente di quella di Gramsci, colpì inoltre non solo grandi letterati come Vincenzo Cardarelli, Alberto Moravia, Mario Scalesi, Alexander Pope e Jane Addams o una mistica come Gemma Galgani, ma anche un feroce boss mafioso come Luciano Liggio.
Appio Claudio, console romano che fece costruire la Via Appia, essendo cieco controllava i lavori camminandoci sopra a piedi nudi. L’epilettico e il nano, i due grandi maestri dell’impressionismo e dell’arte: Henri de Toulouse-Lautrec e Vincent Van Gogh
Il percorso iniziato nelle caverne con Romito 8 arriva idealmente sulle stelle con Stephen Hawking. Il grande scienziato che ha rivoluzionato la Fisica ed è riuscito a condurre una vita entusiasmante, malgrado una paralisi quasi totale. Scrive Stella: “Dopo aver avuto due mogli e tre figli, ricevuto i maggiori riconoscimenti esistenti (tranne il Nobel), discusso di Dio con quattro papi, venduto milioni di libri, registrato musica coi Pink Floyd, guadagnato un posto tra i fumetti dei Simpson, prenotato un volo spaziale con la futura prima navicella di Richard Branson, scritto con un pizzico di ironia di aver avuto molto dalla vita: ‘La disabilità non ha costituito un grave handicap nel mio lavoro scientifico. Anzi, per certi aspetti suppongo sia stata un vantaggio: non ho dovuto fare lezione e occuparmi degli studenti, e non ho dovuto perdere tempo in tediose commissioni’. Tra gli ultimi messaggi, un appello alla speranza consegnato ai quattrocento presenti a una conferenza al Royal Institute di Londra: ‘I buchi neri non sono così neri come li si dipinge. Non sono prigioni eterne, come un tempo si pensava. Le cose possono uscire da un buco nero in due modi: o tornando all’esterno o ritrovandosi possibilmente in un altro universo. Così, se senti di essere in un buco nero, non arrenderti: c’è sempre una via d’uscita’”.
E’ invece una storia spesso dolorosa, di sofferenza e discriminazioni. A volte feroce, quando la disabilità era indotta per produrre fenomeni sfruttati per fare soldi: dai “fabbricanti di mostri” di cui si parlano Victor Hugo e Guy de Maupassant alla pratica della castrazione che serviva a produrre funzionari per la Corte cinese come guardiani per gli harem ottomani e cantanti per la chiesa. Ma spesso anche gloriosa, per i personaggi che sono riusciti a diventare famosi e a imporsi malgrado i loro handicap. A quelli già citati, si può forse aggiungere per lo meno Thomas Schweicker, un raffinato calligrafo senza braccia; “Blind Tom”, uno schiavo nero affetto da cecità e autismo che divenne lo stesso un grande pianista; Helen Keller, che imparò a leggere e scrivere malgrado fosse diventata da piccola cieca, sorda e muta, e raccontò la propria storia; Nick Vujicic, surfista e skateboardista senza braccia e gambe; Enrico Toti, mutilato che girò il mondo in bicicletta e poi divenne eroe della Grande Guerra; Enrico Dandolo, un doge cieco che condusse Venezia alla conquista di Costantinopoli. E infine la storia di Arthur MacMorrough Kavanagh, rampollo di una ricca famiglia irlandese che nato senza braccia e gambe imparò a usare le dita dei suoi embrionali moncherini superiori per sparare, dipingere e scrivere, e divenne un cavaliere senza paura legato a una sella speciale, che viaggiò dall’Egitto all’India passando per Scandinavia e Russia, si fece messaggero della Compagnia delle Indie orientali, e infine fu eletto deputato, e divenne leader degli unionisti irlandesi. Come Appio Claudio, il console romano, pretore e censore, che fece costruire la Via Appia, ed essendo cieco controllava lo stato dei lavori camminandoci sopra a piedi nudi, in modo da poter sentire i punti di unione delle pietre e constatare che erano state poste a dovere.
A parte Roosevelt, anche un altro condottiero della Seconda guerra mondiale come Charles De Gaulle è un eroe di questa storia, per il modo in cui amò e accudì una figlia con sindrome di Down. All’opposto della famiglia Kennedy, che per evitare seccature fece sottoporre a lobotomia e internare in una casa di cura una sorella di John e Robert. De Gaulle era un conservatore e i Kennedy progressisti, ma il modo in cui un padre può reagire a un figlio “diverso” è imprevedibile. La coniglietta californiana di Playboy Amanda Booth e il grande drammaturgo Arthur Miller ebbero entrambi un figlio affetto da sindrome di Down. L’una però lo accolse e lo amò; l’altro lo rifiutò.
Quella dei disabili è stata in gran parte storia di orrori, crimini, errori scientifici, incubi religiosi fino alla catastrofica illusione di perfezionare l’uomo e al genocidio nazista degli “esseri inutili”. “Ma più ancora milioni di anonimi figli d’un dio minore che sono riusciti in condizioni difficilissime a tirar fuori, per dirla con Papa Francesco, ‘la scatoletta preziosa che avevano dentro’”.