Dall'Europa all'America, per sopravvivere gli ebrei si nascondono
Come al tempo dei marrani, ebrei che furono costretti a convertirsi al cristianesimo in Spagna dopo il 1492, ma che in segreto continuarono a professare l’ebraismo, oggi stiamo assistendo a una nuova forma di marranesimo nella società liquida
Roma. “Durante un viaggio a Berlino, un amico mi ha dato indicazioni per una sinagoga fuori mano e ha aggiunto che, se mi fossi persa, avrei dovuto cercare la polizia per strada con le mitragliatrici”, scriveva ieri sull’Atlantic la celebre storica dell’Olocausto Deborah Lipstadt. “‘Altrimenti tieni d’occhio gli uomini con i cappelli da baseball e seguirli, ti condurranno alla sinagoga’, mi ha detto. Mi sono persa e ho seguito i cappelli da baseball, come da istruzioni. Mi sono sentita sollevata quando ho visto la polizia. Avevo trovato la sinagoga. Da molti anni, gli ebrei sanno che quando visitano una sinagoga europea, devono portare con sé il passaporto e aspettarsi di essere interrogati dalle guardie. Adesso chiamo per far sapere a una sinagoga che sto arrivando. E questo non sempre garantisce l’ingresso. Qualche anno fa, sono stata allontanata da una sinagoga di Roma”. Conclude Lipstadt: “Non stanno abbandonando la loro identità ebraica, la stanno nascondendo. Sono diventati marrani”.
Dopo che un afroamericano ha accoltellato diversi ebrei in casa del rabbino Chaim L. Rottenberg di Monsey, vicino a New York, Lipstadt non esita a usare questa parola terribile e angosciante – “marrani” – che rifluisce dalla storia ebraica: gli ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo in Spagna dopo il 1492, ma che in segreto continuarono a professare l’ebraismo. Una strategia di sopravvivenza, un ebraismo segreto e senza identità pubblica. Oggi stiamo assistendo a una nuova forma di marranesimo nella società liquida senza persecuzione ufficiale e di stato, ma spicciola e quotidiana, nondimeno pericolosa. “La Homeland Security ha ricevuto dalla comunità ebraica americana più di 150 milioni di dollari in richieste”, ha detto ieri Michael Masters, a capo della sicurezza delle Federazioni ebraiche del Nordamerica. Il magazine Politico ha appena rivelato che la comunità ebraica di Groningen, in Olanda, non pubblica più gli orari delle preghiere. “Un gruppo di volontari manda messaggi agli amici via WhatsApp. La comunità ha un piano di emergenza in caso di attacco e non pubblica i dettagli dei suoi servizi, ma si affida ai fedeli per tenersi informati a vicenda sul programma”. La stella di Davide e il “911” sono stati dipinti sulla sinagoga di South Hampstead, a Londra. Il numero potrebbe riferirsi alla cospirazione antisemita secondo cui gli ebrei sarebbero responsabili dell’11 settembre; altri temono che si tratti di un riferimento alla Kristallnacht, il pogrom contro gli ebrei del 9 novembre 1938 nella Germania nazista. Numerose pattuglie della polizia inglese sono state dislocate di fronte alle sinagoghe della capitale. “Non consiglierei a nessuno di passare da qui indossando una kippah”, ha appena detto alla Bild il capo della comunità ebraica di Halle, Max Privorozki, dove di recente un neonazista ha cercato di fare strage durante Yom Kippur (è stato il delegato alla lotta all’antisemitismo del governo tedesco, Felix Klein, a suggerire agli ebrei di non indossare più la kippah in pubblico).
In un articolo su Sydsvenskan, una coppia di insegnanti ebrei, figli di sopravvissuti all’Olocausto, racconta cosa significa insegnare a Malmö, la terza città svedese. La coppia non osa rivelare la propria identità agli studenti. “Molti di loro provengono dal medio oriente e l’atmosfera è tale che mi sentirei a disagio a dire che sono ebreo”. In Europa, che fino a 70 anni fa ospitava metà della popolazione mondiale, oggi si fatica a riconoscere un simbolo ebraico per strada.
generazione ansiosa