La tentazione di essere giovani negli anni Venti
Per quelli che sanno coltivare la propria energia, il dubbio, la gentilezza e hanno fiducia nel futuro, nella consapevolezza di vivere in un grande paese. I sentimenti e le regole per le sfide che ci attendono. Appunti di un non più giovane ottimista
Che cosa vuol dire essere giovani all’alba del Terzo millennio? Che cosa vuol dire esserlo in Italia? A rispondere dovrebbe essere un giovane, perché i vecchi sono fatti così, pensano di avere la ragione in tasca, ritengono di aver raggiunto certezze e si sentono autorizzati a sbandierarle in giro. O non danno consigli, perché passano tutto il tempo a lamentarsi: quanto era meglio ai loro tempi, oggi è tutto sbagliato, tutto da rifare… I vecchi li riconoscete perché dicono sempre “io”. Però ci sono anche dei giovani che sono vecchi, come pure qualche vecchio che si sforza di restare giovane. Io ci provo, spesso sbagliando, ma ci provo.
Dunque, cosa vuol dire essere giovani. Partiamo dai sentimenti: due caratteristiche fondamentali, anzi tre, anzi quattro. Energia, dubbio e… fiducia, e gentilezza. Cosa vuol dire esserlo in Italia? Rendersi conto della fortuna pazzesca di essere nati nel più bel paese del mondo. Ne parleremo.
Incominciamo dal dubbio. I giovani sani si riconoscono perché hanno sani dubbi. Il dubbio è in sé una cosa sana, perché innesca un sacco di valori positivi: la curiosità, l’obbiettività, la disponibilità a cambiare idea, la presa di coscienza che viviamo in un mondo imperfetto, difficile da far funzionare. Il dubbio crea propensione al compromesso, che è l’unico modo di procedere in armonia con il prossimo. Il dubbio è la prima caratteristica di chi ha voglia di migliorare, di crescere, di inventare. Il dubbio è la base essenziale della gioventù.
Non vediamo ancora come addomesticare la strabiliante invenzione che ci è piovuta addosso, il passaggio dall’analogico al digitale, volgendola al meglio nell’ambito del modello cui ci troviamo, che si chiama società dei consumi. E che negli ultimi due secoli, tra grandi successi e alcune gravi lacune, ha funzionato piuttosto bene
L’energia possiamo descriverla come la voglia irrefrenabile di progredire. L’energia è argento vivo che ti senti addosso, è trovarti pronto allo scatto, è l’inguaribile predisposizione a non mollare mai.
La fiducia nasce dalla coscienza che nessuno è perfetto, vive nella capacità di gestire la propria imperfezione e di accettare quella altrui, magari gestendo pure quella. Se non hai fiducia in te e negli altri non sei giovane. Senza la fiducia tutto resta fermo, peggio, regredisce. Non offrire fiducia è sconfitta alla radice, ma non solo, è cattiveria, egoismo, presunzione, è pigrizia, ignoranza, maleducazione: roba da vecchi.
Infine la gentilezza, in pratica il contrario dei toni e del linguaggio espressi da molta parte della politica oggi. C’è violenza in giro. E non ha caso parlo della politica, che dovrebbe essere l’esempio supremo del comportamento civile. Ho l’impressione che i vecchi siano ormai lontani dalla possibilità di mettere in campo questi propositi. E’ una cosa che possono e devono fare i giovani.
Riassunto: chi è giovane (di età), prima di chiedere attenzione e diritti, deve dimostrare di essere giovane attraverso l’espressione di energia, fiducia, senso del dubbio e gentilezza.
Essere giovani all’alba del Terzo millennio significa avere a che fare con due temi ciclopici. Il primo, il transito da un modello sociale analogico a uno digitale. Il cambiamento è sostanziale, ma non solo. Come tutte le volte che l’umanità ha avuto a che fare con invenzioni destinate a cambiare il modo di vivere, questo cambiamento diventa traumatico. Non vediamo ancora come addomesticare la strabiliante invenzione che ci è piovuta addosso, volgendola al meglio nell’ambito del modello sociale in cui ci troviamo. Nel nostro caso il modello si chiama società dei consumi. Si tratta di un modello piuttosto semplice che, negli ultimi due secoli, tra grandi successi e alcune gravi lacune, ha funzionato piuttosto bene. Si basa su tre mosse: posto di lavoro, salario e consumo. Al centro di questo triangolo c’è la “fabbrica”, nata da un’idea e dai capitali dell’imprenditore. Questo modello genera una spirale che nella maggior parte dei casi si è rivelata virtuosa. Sempre più posti di lavoro hanno generato migliori salari, quindi maggiori consumi; quest’ultimi hanno inciso nuovamente sull’incremento dei posti di lavoro e così via. Intorno a questo triangolo sono nati giocoforza una serie di servizi, funzionali a tenere in vita il modello stesso. Alcuni direttamente al servizio delle mosse primordiali del triangolo, come la finanza, la ricerca e il marketing, altri destinati a migliorare la qualità della vita degli attori, come la sanità, la scuola, il sistema pensionistico e le infrastrutture. Il tutto ha funzionato abbastanza bene, con una particolare evoluzione a partire dal secondo dopoguerra, ottenendo risultati lusinghieri: un aumento formidabile della vita media e un netto miglioramento nella distribuzione della ricchezza. Si poteva fare meglio, in particolare sotto il profilo della distribuzione della ricchezza e delle opportunità, ma non possiamo negare che l’umanità, in generale, ha visto un reale miglioramento della qualità della vita.
Ora questa spirale si è fermata. Il lavoro, su cui nel tempo si sono caricate sempre più le spese per i servizi, è diventato la voce di costo più elevata nella costruzione del prezzo del consumo; l’imprenditore ha individuato nelle nuove invenzioni digitali il mezzo più rapido per ridurre il costo del lavoro, diminuendo le unità lavorative. In pratica l’intelligenza artificiale, più che per inventare nuovi mestieri, è stata usata per distruggere quelli esistenti.
Non si tratta di una novità assoluta, altre volte l’umanità ha avuto a che fare con invenzioni che apparivano come avversarie della forza lavoro – il trattore e l’elettricità, per esempio – ma mai ciò è avvenuto in maniera così repentina e traumatica. Stavolta è molto più dura, per via della mostruosa velocità dell’innovazione che ci impedisce di reagire in tempo, e poi l’essenza di questa invenzione, che sta nel cambio dei ragionamenti base, da analogici a digitali, pare ci abbia spiazzato. Ora la domanda apicale è: ci arrendiamo e cambiamo il nostro modello sociale, oppure cerchiamo di adattare la nuova grande invenzione (e i suoi sviluppi) al nostro modello, cioè la società dei consumi che si basa sul lavoro, inventando nuovi lavori? Avrei una risposta e la dico: la seconda.
Esistono correnti di pensiero diverse che stanno riscuotendo un certo successo. Descrivo qui le due che mi sembrano più in voga. La prima è totalmente concentrata sulle disfunzioni che il nostro modello sociale ha prodotto e, per carità, non possiamo affermare che non esistano. In sostanza dice: passiamo dai consumi ai servizi, creiamo una società di servizi, al diavolo i consumi, benvenuta la decrescita. Questa corrente non parte da cattivi propositi, anzi. Semplicemente prende in considerazione solo la parte negativa della società dei consumi, ignorandone completamente i punti di forza. Ma soprattutto cozza totalmente con la naturale aspettativa delle singole persone di migliorare la propria condizione in base ai meriti specifici. Abbiamo già assistito in passato a tentativi, falliti miseramente, di appiattire le aspettative umane. E a pagarne le conseguenze, malgrado la sana ma teorica voglia di egualitarismo, sono stati i poveri, mica i ricchi. Possiamo definire questa visione come populista.
La seconda visione dobbiamo invece chiamarla con un nome di recente invenzione: sovranista. Parte dall’idea che la crisi si possa sconfiggere dividendo le risorse tra un numero inferiore di persone, individuando i meritevoli tra quelli originari della nazione di riferimento. Il naturale pay off è “Prima gli…”, segue il nome del popolo nazionale. Si tratta di una visione egoista e soprattutto a breve, perché da un lato non tiene conto del fatto che nessuno ha il merito di essere nato in un determinato luogo del mondo, dall’altro lato non affronta i temi essenziali della crisi, semplicemente li rimanda. Senza tenere conto delle gravi tensioni sociali che un simile atteggiamento rischia di far insorgere.
C’è una terza via su cui incamminarsi, è quella di partire proprio dalla nuova straordinaria invenzione dell’intelligenza artificiale abbinata a internet per inventare nuovi mestieri. La sostanza consiste nel mantenere il nostro attuale modello sociale, basato sul lavoro, sfruttando i nuovi mezzi digitali per lanciare nuovi ruoli lavorativi. Diamo un nome anche a questa terza visione, chiamiamola riformista. E questa è roba da giovani.
Secondo tema ciclopico il quale, vedrete, ha molto a che fare con il primo. La vita umana sul pianeta sta correndo un colossale rischio. Il 90 per cento degli scienziati ci dice che, per la prima volta, assistiamo a un cambiamento climatico dovuto all’attività umana anziché al moto naturale dell’universo. Questo cambiamento si deve a una cattiva gestione delle risorse per creare energia e a un insulso trattamento (sarebbe meglio dire mancato smaltimento) dei rifiuti. Dobbiamo immediatamente cambiare il nostro rapporto con l’aria, l’acqua e la terra, pena l’assommarsi di eventi catastrofici che renderanno molto difficile, se non impossibile, il proseguimento della specie umana sulla Terra.
Occorre inventare velocemente nuove forme di lavoro su cui impiegare milioni di umani. Nuovi posti di lavoro nella ricerca finalizzata alla sostenibilità energetica, cioè come arrivare a produrre energia al 100 per cento da fonti rinnovabili. Nuovi posti di lavoro nella ricerca finalizzata alla sostenibilità ambientale, cioè come ridurre al minimo i rifiuti e come riciclarli. Nuova manodopera per costruire centrali di produzione di energia rinnovabile, centri di raccolta e riciclo dei rifiuti. Ecco dove l’intelligenza artificiale e la velocità di comunicazione troveranno applicazioni virtuose. Ecco come le due paurose connotazioni dell’alba del Terzo millennio, sconcerto digitale ed emergenza ambientale, incontrandosi, potranno trovare una sintesi virtuosa. Questa secondo me è l’unica strada. Ma, ripeto, è roba per giovani: serve energia, serve propensione al dubbio, serve fiducia e serve gentilezza. La scuola deve incominciare da subito a formare gli studenti verso questi mestieri.
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Ora affrontiamo il tema dell’essere giovani, oggi, in Italia. Premesso che nessuno decide dove nascere, dobbiamo riconoscere che esser nati in Italia rappresenta una gran fortuna. Perché l’Italia è il paese più bello del mondo e con formidabili opportunità. Questa non è un’opinione, è un dato di fatto e sono i numeri che lo dimostrano. Siamo piccoli (0,20 per cento delle terre emerse), siamo in pochi (0,83 per cento degli abitanti del mondo), ma possediamo il record mondiale dei siti Unesco Patrimoni mondiali dell’umanità (55), il più grande patrimonio artistico del pianeta e la più profonda biodiversità agroalimentare fra tutte le nazioni del mondo. Inoltre siamo tra i leader per la nostra capacità di produrre manifatture di alta qualità, dagli abiti ai mobili, alle macchine di precisione, alle auto sportive, per citare solo alcune specialità. Malgrado i nostri abitanti rappresentino meno dell’1 per cento degli umani, deteniamo il 2,5 per cento del pil mondiale. Infine abbiamo il maggior numero di aziende agricole biologiche in Europa, il minor residuo chimico nei terreni agricoli (0,03 per cento contro una media europea dello 0,12 per cento), siamo tra i più grossi produttori mondiali di energia da fonti rinnovabili rispetto al fabbisogno e abbiamo un clima tra i migliori al mondo. Sono i numeri a dirci che l’Italia è il miglior paese al mondo.
Tuttavia succede che purtroppo i numeri non bastano a stabilire il livello di felicità dei popoli: concorrono altri fattori quali l’umore, il livello di fiducia nel futuro, la capacità di un popolo di inserire i migliori (o i peggiori) nelle posizioni chiave, la qualità dell’informazione e della giustizia, la distribuzione geografica della ricchezza, il livello culturale e di coscienza civica della generazione corrente, ecc. Pare che in questi campi non siamo dei campioni.
Ripartiamo dai numeri! Guardiamoli, analizziamoli e troviamo il modo di usarli per ripartire. Essere giovani oggi in Italia significa riscoprire le potenzialità del nostro paese, che sono immense. Potremmo facilmente raddoppiare il numero dei turisti stranieri (100 miliardi di euro nuovi), raddoppiare il valore delle esportazioni delle nostre specialità esclusive (altri 100 miliardi), diventare, sapendolo raccontare, il paese più “pulito” al mondo. Per ottenere questi obiettivi dobbiamo inventarci nuovi mestieri. Il mondo digitale è in grado di amplificare la nostra specifica identità senza snaturarla. Questo devono fare i giovani: prendere l’Italia e offrirla al mondo!
Il sud. Il sud d’Italia è un campo aperto per i giovani, è una ricchissima miniera di pietre preziose incolte. E non mi rivolgo solo ai giovani del sud, parlo anche per quelli del nord. Perché la Sicilia intera accoglie la metà dei turisti di Rimini? Andate a vedere cosa sta facendo Rimini per Fellini 2020 e capirete perché. Passate un mese in Sicilia e toccherete con mano le potenzialità inespresse di quella regione, ma lo stesso vale per tutte le meravigliose regioni del sud. I giovani del sud che negli anni Sessanta sono emigrati al nord sono stati determinanti per il miracolo economico, per fare del nord Italia una delle regioni del mondo più ricche. E’ giunta l’ora che i giovani del nord vadano al sud e, grazie allo spirito imprenditoriale che hanno respirato al nord, vadano con idee nuove. La cappa di vittimismo e rassegnazione che regna nella parte bassa della nostra penisola deve essere spazzata via da un vento nuovo che può solo giungere dall’Europa, in primis dal nord dell’Italia.
Oltre al populismo e al sovranismo c’è una terza via su cui è meglio incamminarsi: è quella che mantenendo il nostro modello sociale, basato sul lavoro, sfrutta i mezzi digitali per inventare nuovi mestieri, anche nel campo della sostenibilità energetica e ambientale. Il nord e il sud. I compiti della politica
Vi ho parlato a lungo di sentimenti più che di regole. Perché le nuove regole dovranno scaturire da nuovi sentimenti. Questo è il primo passo. Per rilanciare l’occupazione oggi serve agire sulle tasse relative al lavoro, diminuendole: non con il reddito di cittadinanza o con la quota 100, che sono misure che penalizzano il lavoro. Serve uno stipendio minimo garantito di 1.500 euro netti, ma che nello stesso tempo costi all’impresa come oggi uno di 1.000. Serve abbassare le tasse alle imprese, ma non a tutte. In particolare a quelle che incrementano le esportazioni e in generale attraggono soldi dall’estero. Questi benefici vanno riconosciuti solo sugli utili non distribuiti, lasciati in azienda per fare sviluppo, e alle imprese che osservano codici di rispetto ambientale ben chiari. Servono incentivi fiscali straordinari per le imprese che costruiscono le nuove “fabbriche” per l’energia rinnovabile e il riciclo dei rifiuti. Occorre aggredire gli sprechi pubblici e investire in ricerca. Fine delle regioni a statuto speciale e diamo le autonomie necessarie a tutte. E poi bisogna convincere tutti che le tasse vanno pagate, e mettere mano alla scuola che formi le nuove generazioni attraverso una migliore cultura di base abbinata a coscienza civica e profondità nella specializzazione scelta. Dobbiamo realizzare nuove infrastrutture utili alle imprese, alle famiglie e al turismo. Treni veloci al sud, ponte sullo stretto. Dobbiamo avere tre porti strepitosi, pochi aeroporti ma efficienti e super collegati. Ci vorrà del tempo ma ce la possiamo fare se partiamo dai sentimenti.
Cosa deve fare la politica? La politica ha il compito di creare gli scenari utili per partire su questa strada, sia nel campo dei sentimenti sia in quello delle regole. Prima di tutto occorre eliminare l’odio e la perenne atmosfera di campagna elettorale che regna tra i partiti. Qualche proposta. Si voti una volta sola e in una sola occasione per tutti i livelli, dal comune alla nazione, ogni cinque anni. E con una legge elettorale a doppio turno come quella dei comuni dove escano ben chiari i vincitori. Ma i governi dovrebbero essere tutti di unità nazionale… E’ chiaro che per tutto ciò serve una riforma costituzionale: perché non farla? Credo sia giunto il momento.
Mi aspetto dai giovani questo moto, pieno di energia, verso le grandi riforme. Per molto di ciò che fin qui ho raccontato abbiamo meravigliosi esempi, proprio di questi tempi. Il movimento delle Sardine: smettiamola di cercarne i limiti e ammiriamone la gentile potenza; spero proprio che non si fermino. Il Green Deal presentato in questi giorni dall’Europa: smettiamola di dire che tanto la Cina e l’India fanno ciò che gli pare, incominciamo noi europei a dare il buon esempio.
In giro c’è gente che si sbatte, dovunque, e non è poca. Esistono molte persone che ancora ci credono, le possiamo riconoscere perché, a prescindere dall’età, sono giovani. E se anche noi pensiamo di esserlo, giovani, alleiamoci e incominciamo a camminare insieme. Forti dei nostri dubbi, aiutati dalla nostra propensione al compromesso, sorretti dalla nostra fiducia e spinti dalla nostra energia.
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