Contro le crociere
Che orrore il mare a sessanta metri d’altezza, e le migliaia di persone a bordo. E sai che allegria l’età media
Che già io mi vergognerei a salirci, sopra una cosa chiamata Diamond Princess. Odiosa anglofonia a parte, sembra il nome di una sala giochi o di un salone massaggi. Che io non ci metterei nemmeno piede sopra a una nave alta 62 metri: poche settimane fa ho fatto il camminamento di ronda delle mura di Cittadella, unico al mondo, lo consiglio a tutti salvo alle persone come me per le quali camminare sospesi a 14 metri da terra mette paura e fa girare la testa. Cosa te ne fai di un mare a 62 metri? Se ti tuffi, ti uccidi. E se ti sporgi e scivoli? Lungo le fiancate vertiginose di simili mostri marini sono scritte innumerevoli storie di suicidi, omicidi e morti non classificate: qualcuno ricorderà il povero Leon Klinghoffer, crocierista disabile che in quanto ebreo venne buttato in mare, lui e la sua carrozzella, dai dirottatori palestinesi della Achille Lauro… A quelle altezze nemmeno il salmastro ti godi: molto meglio, nelle giornate di vento, andare sul promontorio di Colonna, a Trani, sulla via dell’Amore alle Cinque Terre, sulla passeggiata a mare Anita Garibaldi, a Genova-Nervi… Posti gratis, fra l’altro.
Che poi non mi imbarcherei mai con altre 3.710 persone. Anche a prescindere dal coronavirus: così tanti corpi per così tanto tempo in uno spazio così ristretto mi fanno pensare a convivenze forzate tipo caserma, galera, o per l’appunto ospedale. Sai che allegria. E infatti leggo che a bordo, per sopravvivere alla noia della quarantena, si dedicano a sudoku e cruciverba, tipo ospizio. Che poi, l’età media. Non credo sia un caso che sulla Diamond Princess il primo positivo al virus sia stato un ottantenne. Chissà se prima di imbarcarsi ha fatto testamento, come un tempo, prima di partire per lunghi viaggi, facevano tutti. Non conosco lo stato di famiglia di questo signore, lo dico in generale: non è meglio restare a casa per badare ai nipotini? Così i figli, schiacciati fra lavoro e cura della prole, possono finalmente concedersi un cinema, una spa, un ristorante con gli amici?
Che poi, il Giappone. A me del Giappone bastano gli articoli di Giulia Pompili: perché dovrei andarci fisicamente? Il giapponese non lo conosco. I bonsai mi fanno senso, mostri vegetali che non sono altro. Lo shibari mi attira già di più ma è troppo complicato. Al sushi preferisco le seppie crude tagliate a strisce come si usa lungo la costa pugliese. Da ragazzo lessi Mishima ma poi decisi di non uccidermi, o comunque non con un coltellone nella pancia. Onde per cui fare rotta sul Giappone mi sembra del tutto irragionevole. Cosa ci dovevano fare migliaia di crocieristi per le strade di Yokohama e di Tokyo? Comprare magliette in un negozio della catena Muji che ormai ha aperto pure a Bologna? E la Cambogia? Peggio che andar di notte, lì siamo proprio nel cuore di tenebra. Penso a quell’altra mega-nave infetta bloccata nel porto di Sihanoukville… Lasciamo stare Malraux, che ci andò per rubare statue e finì in carcere. Per i grandi viaggiatori recenti la Cambogia è desolata landa di prostituzione, magari condita con droga: leggete il libro autobiografico di William Vollmann, “Storie della farfalla”, guardate le foto non credo meno autobiografiche di Antoine D’Agata. C’è bisogno di andare così lontano per ridursi così? E poi dubito che nei ristoranti delle navi da crociera servano lambrusco rifermentato in bottiglia.