Proposte per fare spazio ai giovani in Italia. E sono loro a pensarci
Gli under 30 di Tortuga analizzano in un libro i problemi del paese e lanciano qualche idea per il futuro. Un estratto dalla prefazione
Pubblichiamo un estratto della prefazione firmata da Tito Boeri e Vincenzo Galasso del libro “Ci pensiamo noi” del think tank Tortuga (Egea Editore, 179 pp., 18 euro). Un libro che parla della storia, del presente e del futuro dei giovani italiani. Tortuga, come sanno i lettori del Foglio, è un think tank di giovani studenti, ricercatori e professionisti nel campo dell’economia. Conta più di 50 membri under 30 e collabora con istituzioni, aziende e policy-maker per l’elaborazione di proposte di cambiamento dell’Italia.
E’ molto bello che un gruppo di giovani si metta a riflettere in modo strutturato sul futuro del nostro paese, abbia la pazienza di studiarsi leggi e approfondire dettagli istituzionali e trovi poi il coraggio di formulare delle proposte. Questo libro ci fa sperare. Forse non è più vero quanto scrivevamo quindici anni fa: non è più vero che “i giovani oggi appaiono fermi, come paralizzati, di fronte al castello della gerontocrazia”. Speriamo tanto che il lamento con cui chiudevamo il nostro Contro i giovani sia stato superato dagli eventi. Ci sono segnali di risveglio anche ad altri livelli, con giovani promotori di mobilitazioni che coinvolgono migliaia di persone di tutte le età.
E’ sempre importante analizzare le politiche esistenti o in discussione e saper qualificare le proprie proposte. Molti membri di Tortuga sono economisti. Lo si nota dallo sforzo nel provare a valutare le politiche pubbliche, dal reddito di cittadinanza nel Capitolo 1, all’App 18 nel Capitolo 5, al salario minimo nel Capitolo 8. Più che di lunghe liste di desiderata spesso irraggiungibili, il nostro paese ha bisogno di imparare a conoscere i risultati delle valutazioni delle politiche pubbliche, capire che cosa si può migliorare, quali dettagli è meglio ridefinire.
E’ una discussione che lentamente comincia a prendere corpo – ed è sempre più cruciale tra tante fake news. Chi meglio di giovani impegnati a capire, a studiare, può proporre un metodo scientifico di confronto pubblico, che utilizzi un corpo di conoscenze condivise basato sui fatti?
Certo non è sempre facile fondare i giudizi sui risultati della valutazione quantitativa delle politiche. Alcune politiche esistenti, come l’alternanza scuola-lavoro, vengono bocciate dal libro forse in maniera un po’ troppo drastica (o forse perché una loro analisi più profonda avrebbe richiesto uno spazio difficilmente conciliabile con la dimensione di un saggio di questo tipo). In questo senso, il consiglio ai giovani membri di Tortuga è di continuare a osare – anche di più di quanto fatto nelle pagine che seguono –, per fare della valutazione delle politiche pubbliche il segno distintivo delle nuove generazioni di policy-maker.
Il libro guarda ai problemi dei giovani di questo millennio. L’analisi, spesso molto critica, della loro condizione, della situazione del paese e delle politiche esistenti si sussegue ripercorrendo idealmente il ciclo di vita caro a Franco Modigliani. Si inizia dalla povertà, ben lungi dall’essere eliminata, che in Italia è anzi presente soprattutto tra le famiglie giovani e mono-reddito. Si passa ai figli e alle politiche per la natalità, fin troppo necessarie in Italia – uno dei paesi con i più bassi tassi fecondità al mondo, soprattutto al sud. Poi scuola e università. Non può certo mancare il mercato del lavoro. Forse il momento più critico è il brain drain, perché il vero fenomeno migratorio che interessa i giovani italiani è in uscita, è la loro fuga dal paese.
Il libro è pieno di proposte interessanti. Partiamo dalle politiche per le famiglie. L’obiettivo è riordinare ed estendere il patchwork di politiche esistenti attraverso due strumenti: un assegno per i figli dalla nascita ai vent’anni, modulato in base al reddito Isee, e un voucher per baby-sitting e nidi privati ai genitori di bambini fino ai cinque anni di età e con reddito basso se entrambi lavorano. E poi il congedo obbligatorio retribuito di un mese per i padri: se ne parla da anni… Ci riconosciamo negli obiettivi e negli strumenti; ma forse oggi i tempi sono maturi, forse i giovani – anche gli uomini – sono culturalmente pronti alla piccola rivoluzione di genere che lascerebbe i papà un po’ a casa con i figli.
Impossibile resistere alla tentazione di riformare l’istruzione. Del resto i motivi per farlo non mancano: i test PISA che analizzano il livello di conoscenza della matematica, delle scienze e della comprensione del testo dei quindicenni dei paesi Ocse vedono i ragazzi italiani in grande difficoltà. La proposta di modifica è radicale. Seguendo una recente letteratura che mostra come i maggiori benefici delle politiche pubbliche si ottengano nei primi tre anni di vita, avanza un’importante suggestione: concentrarsi sugli asili nidi per le loro potenzialità educative sui bambini – e non come strumento di sostegno al lavoro femminile. E lo fa incentivando l’utilizzo dei nidi in maniera inconsueta: chi non manda i figli al nido perde eventuali sussidi pubblici. E’ una politica un po’ da stato paternalista, che pretende di conoscere il bene dei figli meglio dei genitori e che si potrebbe forse modulare in maniera meno draconiana. Ma il ricorso agli incentivi monetari, come fatto in altri paesi, soprattutto in America Latina, non è da sottovalutare, soprattutto per combattere il fenomeno dell’abbandono scolastico.
Non mancano poi considerazioni anche per gli altri ordini di istruzione, in particolare per la scuola secondaria. La parola d’ordine è detracking. Oggi, dopo otto anni di scuola primaria e secondaria di primo grado (quella che un tempo si chiamava scuola media), a ragazzi di 13/14 anni viene chiesto di scegliere tra le quasi cinquanta tipologie di scuola superiore. Una decisione che orienterà la loro vita lavorativa.
Diversi studi mostrano che questa scelta è fortemente dettata dallo status socio-economico delle famiglie di appartenenza. Inoltre molti sbagliano e cambiano indirizzo in corso d’opera. La proposta prova a omogeneizzare il percorso e a rendere la scelta più graduale: un primo ciclo di sette anni – anziché gli otto attuali tra primaria e medie – seguito da un biennio comune per le superiori e poi un triennio più specializzante. L’esperienza di altri paesi europei avalla l’unificazione di scuole primarie e medie in uno stesso ciclo. Meno evidente è come un biennio comune a tutte le scuole superiori possa portare a ridurre la stratificazione sociale presente nella scuola italiana. Se anche venisse superato il rischio di selezionarsi tra i diversi ordinamenti scolastici, l’autoselezione potrebbe avvenire tra le diverse scuole di una città (come del resto già avviene).
Tito Boeri
docente di Economia del lavoro, Università Bocconi
Vincenzo Galasso
docente di Welfare and public economics, Università Bocconi