In “Cane e padrone” Thomas Mann raccontava tra l’altro la passeggiata quotidiana e si stupefaceva perché il suo compagno abbaiava sempre e tirava e smaniava in un punto preciso, sempre quello, una siepe in villa, questione di istinto e di memoria. Timidi o spavaldi, i cani si fingono un nemico anche invisibile, anche scomparso, comunque introvabile, con una sicurezza di tratto che a noi manca nel contatto con il nostro attuale nemico. Sono in questo decisamente più sagaci di noi, non solo più eleganti e rassegnati, non solo più allegri e abituati a lunghe quarantene, alla vita da cani, agli spazi ristretti, alla compagnia forzata, a lunghi sonni interrotti da veglie sempre reversibili in un ennesimo riposino, sono anche all’erta e pronti alla più combattiva eccitazione senza mascherina, igienizzanti, eccessi necessari di sapone e protezione, insomma sono dichiaratamente esseri, in questo almeno, del tutto superiori ai loro padroni. Potessimo scartare e imbizzarrirci con la loro vitale diffidenza davanti a quella siepe in villa dove si annida anche solo la possibilità di un virus. Non possiamo.
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