I resti dello spirito polemico e conflittuale giacciono esausti. Si leggono e si ascoltano banalità, coglionate, opinioni che vengono da sottoculture in genere insopportabili, castigabili, e nella nuova situazione prevale una certa stanchezza nel contrastarle. Non si ha poi tanta voglia. Il glissando, lo slittamento musicale da una nota a un’altra in un continuo di intermediari, si insinua nel discorso pubblico. Vedi certi ribellismi ingenui e autolesionisti e non hai voglia di scacciarli con fastidio, come con le mosche, piuttosto ti metti a cercare vanamente le ragioni. Aut aut sembra un modo astratto di cercare e imporre la tua visione, se non la tua etica. Con lo stravolgimento biologico e il grande disordine virale l’era del conformismo mediatico verso l’Apocalissi ideologica è finita, lo noti a occhio nudo che ora l’apprensione si sposta su cose vere e ravvicinate, ti prendi la tua soddisfazione, ma poi glissi. Puntate, schermaglie minori, osservazioni, ma non è il tempo di una battaglia per schiacciare la stupidità media, senti anzi il dovere di farne parte, di condividere, come si dice, lo sfondo perverso di tante fesserie. Flaubert vince e perde la sua battaglia di una vita: siamo tutti Bouvard e Pécuchet, tutti arzigogolatori di laboratorio, tutti invischiati nella lingua per noi palloccolosa e ignota dell’infettivologia, tutti nell’enciclopedia delle idee ricevute, eppure nella medietà scolastica della “minaccia influenzale” – che cosa grande e terribile, e che minore sconcezza di morbilità – ci accucciamo nella Bêtise, un malessere che si spalma ormai su tre secoli a partire dall’Ottocento. Sovranismo, parola grottesca e segnacolo in vessillo di tante disumanità minori, diventa un fantasma asmatico, tutti vedono l’interdipendenza, tutti toccano i limiti delle frontiere, tutti sentono il rovesciamento paradossale di valori che si davano supinamente per accettati: il Messico minaccia di chiudere la frontiera con gli Stati Uniti, non vuole migrazioni pericolose, ecco.
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