Non date consigli alla mia psiche: voglio essere libero di ridere o disperarmi

Alfonso Berardinelli

Diffidate di chi vuole trasmettere ottimismo o pessimismo

Hanno cominciato a imperversare i predicatori, i persuasori, gli animatori, i manovratori del nostro umore in tempo di pericolo. Ci incoraggiano, ci dicono se e come e quando avere o non avere paura. Non ci dettano solo le regole utili da seguire, vogliono stabilire quali sono le emozioni giuste, la psiche giusta. Alle tv, alle radio, in ogni canale comunicativo c’è sempre qualcuno che cerca di stabilire per noi come sentire, come vivere correttamente le circostanze avverse.

 

Non sopporto né di essere incoraggiato né scoraggiato. Ognuno se la veda a modo suo, secondo il suo carattere, le sue convinzioni, le sue esperienze o non esperienze personali, il suo modo di considerare la vita, la malattia, la vecchiaia, la morte.

 

Ci dicono che la situazione è grave, molto grave. Ci dicono che “ce la faremo” tutti insieme, noi italiani. Alle finestre compaiono bandiere tricolori, si sente cantare l’inno nazionale per farsi forza e darsi fiducia. Perché no? Ma anche: perché sì? A volte mi ricordano tutti quelli (molti, troppi) che ai funerali, se muoiono genitori, figli, parenti, persone amate, ti mettono la mano sulla spalla e ti dicono: “Non piangere, non devi piangere…”. Perché mai non si dovrebbe piangere nemmeno a un funerale e ogni volta che c’è una ragione per piangere?

  

 

In tv compaiono ogni tanto delle belle faccette pulite e serene che ci sorridono e ci fanno coraggio. Subito dopo compaiono invece immagini di città deserte, piazze e strade deserte, posti di blocco, ospedali, medici e infermieri sfiniti dalla fatica di un superlavoro senza pause sufficienti. Ci dicono che sono al collasso o che lo saranno presto perché scarseggia il materiale tecnico, mancano i posti per la terapia intensiva necessaria. Si citano pagine di autori classici che hanno descritto epidemie, pandemie, carestie e altre catastrofi. Alcuni ne sono consolati (“Come è cominciato, poi finirà”) e altri ne sono spaventati (“Si moriva allora, si morirà ora”).

 

Lasciamo per favore che gli esseri umani reagiscano ognuno a modo suo. Non mi si dica “non ti arrabbiare” se mi arrabbio. Non mi si dica “c’è poco da ridere”, se rido.

 

 

Ah, la psiche! Quanto siamo attenti alla psiche e al suo cosiddetto equilibrio: come se l’equilibrio non si alternasse inevitabilmente allo squilibrio. Oltre alla psiche c’è anche il cervello che vede e ragiona, connette e deduce. Impariamo qualcosa di nuovo solo in caso di necessità, di sofferenza, di pericolo, di paura, di dubbio e tristezza. Si dice che la malattia apre gli occhi sulla realtà della vita. Anche la salute e i momenti di felicità aprono gli occhi sulla realtà della vita. Occhi che poi potranno richiudersi per dimenticare meglio.

 

C’è chi pensa che lo stato, i politici, i partiti, gli intellettuali, gli artisti abbiano il dovere di trasmettere ottimismo, coraggio, fiducia, speranza nel futuro. Non lo credo e non mi piace. Sono i fatti, sono le azioni a creare ottimismo o pessimismo, fiducia, scetticismo o disperazione. 

 

Nel corso di un’epidemia o pandemia che ci costringe a una vita quotidiana del tutto inusuale, facendoci venire in mente cose mai prima pensate, evito di ascoltare qualcuno in tv che crede di poter pensare al posto mio. Meglio una trasmissione didattica di scienze naturali.

 

C’è poi chi non crede, perché crede solo a sé. Non crede al virus, ai malati, agli ospedali pieni, ai morti: sospetta un complotto mediatico con scopi oscuri. Chi non crede nel virus, faccia come crede. Ma vorrei che mettesse alla prova l’onnipotenza del suo pensiero guarendo i malati e resuscitando i morti. Scusate, anche questa è una predica.

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