Lo storico influencer
Chiaro, ironico e rassicurante, riempie sale reali e virtuali. Chi è Alessandro Barbero, nuova icona pop della cultura
La peste, la quarantena, l’urlo di Munch dentro di noi e le videochat davanti a noi, e tutto il mondo di prima che finisce online: ci finisce persino, con trionfo telematico, il professore di storia che online c’era già, come volto della tv culturale (Rai Storia, Rai3) e mito di nicchia delle conferenze via web e dell’ascolto podcast su condottieri, papi, crociate, comuni, stati, battaglie, donne, cavalieri, armi, amori, guerre, abitudini, barbari e soldati. E però ancora non lo si era visto su Instagram, Alessandro Barbero, il medievista piemontese che nel 1996 ha vinto il premio Strega con un romanzo su un gentiluomo americano alla corte di Prussia (“Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo”, ed. Mondadori) e che qualche giorno fa, durante una delle “Conversazioni d’autore”, format lanciato su Instagram da Editori Laterza, ha sbaragliato, dall’auto-isolamento per virus e con le annunciate trenette al pesto sul fuoco, la concorrenza di influencer di tutti i tipi, conquistando rimandi su Twitter ed endorsement di fan vecchi e nuovi che oggi lo vorrebbero, se non Papa o premier, quantomeno presenza fissa in tv dopo bollettini e speciali di approfondimento. Lo chiedono da tempo, sui social, un po’ scherzando e un po’ no, giornalisti, autori televisivi ed estimatori sparsi che, ascoltando Barbero, si sentono sollevati temporaneamente dalle angustie della giornata tipica “iorestoacasa”, motivo per cui lo candidano a un ruolo mediatico di “Piero Angela della storia”: lo proponeva qualche giorno fa su Twitter il giornalista del Corriere della Sera Alessandro Trocino, con approvazione immediata di colleghi ed estimatori sommersi, mentre la redazione del Post ha consigliato, per i giorni di auto-reclusione, di riascoltare Barbero in podcast e vederlo quando conduce su Rai Storia “a.C.d.C.” (e può capitare, distratti dall’angoscia da contenimento-virus, di appassionarsi alla ribellione della regina celtica Baudicca). E insomma, in questi giorni, Alessandro Barbero è stato ufficiosamente insignito degli onori prima tributati, in epoca più pop, a Franca Leosini, volto cult Rai con la sua discesa negli inferi delle “Storie maledette”.
Nel 1996 ha vinto il premio Strega con un romanzo su un gentiluomo americano alla corte di Prussia. Ora spopola su Instagram
Fioccavano dunque i cuoricini lanciati online dai neofiti, il 19 marzo scorso, e le domande degli informatissimi seguaci abituali (“professore, quando esce il suo libro su Dante?”), durante la lezione-colloquio Instagram di Barbero con Giuseppe Laterza. Colloquio soltanto nel titolo lontano mille miglia dal virus, essendo in teoria, l’evento web, un’intervista su Caporetto, la disfatta simbolo di ogni disfatta, oggetto di un noto saggio dello storico. E però anche i non habitué hanno capito subito che Barbero può parlare, con perfetta cadenza piemontese e sorriso occhialuto, di passato e di presente, di eventi remoti e vicinissimi, di Federico II (con Paolo Mieli, su Rai 3, per “Passato e presente”, il 23 marzo scorso) come di bagna cauda, piatto di cui, nella suddetta diretta Instagram, visti i giorni di isolamento, non gli è parso il caso di fornire la ricetta, essendo pietanza “corale”, ha detto, da cucinare tutti insieme, a differenza del “coq au vin” alla borgognona, pollo al vino di cui, presentandone il nome in francese, ha fornito in italiano tutti gli ingredienti. E Caporetto, nell’eloquio di Barbero, s’è fatto subito discorso sulla guerra e sui limiti del coraggio e del potere in senso lato, fino a lambire il conflitto interiore che tutti stanno combattendo nella chiusura e auto-clausura da coronavirus. Ma l’aria non virava in tregenda, ché Barbero è, con ogni evidenza, uomo di spirito.
“Evocare l’Europa significava evocare una speranza” per il presente e il futuro, dice. E forse adesso serviva un’Europa più unita
Lo si è intuito fin dal primo istante di collegamento, quando lo studioso si è lasciato andare alla battuta sugli utenti che chissà, forse avrebbero voluto vedere sullo schermo non un medievista, ma uno storico tipo “Luciano Canfora o Franco Cardini”, e invece si ritrovavano lui, ma in fondo è lo stesso, diceva, “tanto ormai siamo una specie di compagnia di giro”, aggiungeva, scrutando intanto la nuvola di emoticon-cuoricino spese per lui (“sono singole persone? O una stessa persona ne può inviare tanti?”, chiedeva divertito, confermando la leggenda metropolitana raccontata dai suoi estimatori: Barbero se la cava bene sul web, ma per vezzo a volte finge il candore dell’internettiano titubante). E ai fan abituati a sentirlo – in radio, in tv, nei teatri, sul web – discettare di scoperte e battaglie, da Waterloo in su e in giù, e di grandi donne della storia (“Come pensava una donna nel Medioevo” è una delle conferenze del Festival della Mente di Sarzana più riascoltate), il Barbero-compagno virtuale di isolamento proponeva su Instagram una versione di se stesso fedele al “passato e presente” tra cui si muove. Raccontare uomini del Medioevo è abbastanza facile, aveva detto al Festival della Mente: “Che quegli uomini fossero eccezionali, stupidi o mediocri, hanno molto parlato, scritto o fatto scrivere di sé”. Mentre le donne del Medioevo, diceva, purtroppo non hanno potuto lasciare così tante tracce del loro passaggio sulla Terra, motivo per cui lo storico lì presente poteva parlare soltanto di “tre donne fuori dal comune”, di cui due poi fatte sante – Caterina da Siena e Giovanna D’Arco, oltre alla scrittrice Christine de Pizan. E cercava, Barbero, di immergersi nella loro vita piano piano, a partire da pochi indizi, per arrivare a capire “chi fossero da bambine e che cosa passasse loro per la testa”, proprio come oggi, parlando di Caporetto, non può che esulare dal sentiero conosciuto della storia per spostarsi in campo sconosciuto, e cercare di capire che cosa passa a noi, per la testa, di fronte all’evento che ha capovolto la vita per come la conoscevamo, e trasformato la linea del tempo in una linea ante Coronavirus e dopo Coronavirus.
Caporetto diventa discorso sulla guerra e sui limiti del coraggio e del potere in senso lato, fino a lambire il conflitto interiore da virus
E se nel Medioevo l’astrologo, diceva Barbero a Sarzana, era considerato un vero scienziato dagli uomini che guardavano il cielo stellato e si interrogavano su molti misteri da spiegare, lo storico, dicono oggi i commenti di gradimento per Barbero, è accolto virtualmente nella vita tra quattro mura come figura una e trina: studioso, intellettuale, accademico, sì, ma anche un po’ psicologo, forse più politico dei politici. E infatti, quando da Caporetto si è passati a parlare delle battaglie in cui lo storico aveva descritto l’arrancare di un soldato nella trincea (e all’ascoltatore venivano in mente mille scene dell’ultimo film visto al cinema prima del lockdown – anni luce fa, così sembra – e cioè “1917” di Sam Mendes, Barbero si addentrava nella trincea dei giorni tutti uguali che abbiamo alle spalle e davanti, ma con la leggerezza di chi sa di poter affrontare l’argomento “come fossimo alla fine di una cena dove si è bevuto molto, ma un po’ di cose possiamo dircele”). E infatti poi le cose le diceva tutte, una dietro l’altra: la differenza tra Francia e Italia, e tra Emmanuel Macron e Giuseppe Conte nell’uso delle parole “siamo in guerra” quando è scattata l’emergenza virus; la differenza di “carattere” tra popoli che è, più che altro, differenza tra comportamenti ricorrenti, dovuti a ragioni storiche e sedimentati nel tempo; e ancora il ruolo dell’Europa ieri e oggi, e la capacità del potere di raccontarsi. “Conte sta facendo discorsi che sono piaciuti all’opinione pubblica, ma poi discutiamo dei discorsi dei capi stranieri”, diceva Barbero. “Ci sono paesi dove il potere ha potuto costruire nei secoli la propria narrazione e conseguente legittimazione. La Francia si sente collettività. Basti pensare alla valenza retorica che un francese attribuisce alla ‘République’, soltanto pronunciando la parola. I francesi possono anche dividersi su questo e su quello, ma la Francia esiste e ha diritto di importi delle regole. La legittimazione del potere in Italia ha seguito altri percorsi, si è rinforzata dopo l’Unità per poi essere messa in discussione dal fascismo che ne metteva in campo una diversa. Contemporaneamente la chiesa ha offerto una legittimazione alternativa. In Italia ci sono motivi storici se noi non riconosciamo del tutto al potere il diritto di imporci delle regole…”. E quando nella vita reclusa irrompe il tema dell’emergenza, e delle parole in emergenza (“vallo a dire alla Lagarde”, commenta Barbero sornione), e del coordinamento tra potere centrale e locale, lo storico fa notare che, nell’Italia “a lungo centralista che poi è diventata un’altra cosa”, i “poveri padri costituenti” mai avrebbero potuto immaginare che “l’alienazione del potere centrale, vedi nel campo della Sanità, si sarebbe rivelato per certi aspetti catastrofico”. E a quel punto Barbero, anche autore di un libro intitolato “Carlo Magno, un padre dell’Europa” (Laterza), scritto quando “evocare l’Europa significava evocare una speranza” per il presente e il futuro, dice che forse, in questa circostanza, sarebbe servita un’Europa più vicina, più presente, non soltanto esistente “sotto forma di grande o grandiosa banca”.
E lo storico che riempie sale virtuali o reali parlando di Dante (come ha fatto mercoledì 25 marzo per il “Dantedì”, introducendo l’argomento “Dante e l’invenzione dell’Inferno” su Rai Storia), può però anche consigliarti, in questi giorni, “l’ultimo mattone”, così lo chiama, di Thomas Piketty, “Capitale e ideologia”, “un po’ prolisso ma da leggere”, per riflettere sul fatto che la nostra vita per com’era prima del virus “forse è stata data per scontata”, come il mondo pacifico europeo ad economie integrate: “Leggendo Piketty viene da riflettere sullo scenario della Belle Epoque, che assomigliava molto a quello degli ultimi decenni: anche allora si andava in giro, le economie europee erano legate tra loro, nella società emergevano grandi diseguaglianze, ma si era convinti che ormai la guerra non avrebbe più fatto irruzione in Europa. E invece poi si era precipitati non in una guerra, ma in due. Non c’è alcuna garanzia che essere così intrecciati, e mandare i ragazzi in Erasmus, e tradurre tutti i libri, permetta all’Europa di non rompersi”.
“Conte sta facendo discorsi che sono piaciuti all’opinione pubblica, ma poi discutiamo dei discorsi dei capi stranieri”, dice Barbero
E forse oggi si vorrebbe fosse tutto un po’ come in “Medioevo da non credere”, tema di una serie di conferenze di Barbero (sempre al Festival della Mente), in cui a un certo punto si scopre che la famosa “paura dell’anno Mille”, quella che gli scrittori e i pensatori ottocenteschi mettevano addosso, con il loro senno di poi, agli uomini vissuti attorno al primo volgere di millennio, raccontandoli come orde terrorizzate e paralizzate in attesa dello sfacelo, è stata soprattutto una grande proiezione speculativa ex post. E si vorrebbe essere in un romanzo dei nostri posteri, quasi quasi, in cui si scopre che in realtà nel 2020 non era successo nulla, e non erano arrivati il virus né i cieli in una stanza né i sogni ricorrenti di una cappuccino al bar né le paure di compilare il modulo sbagliato. Invece siamo qui, e Barbero lo ricorda sorridendo agli ascoltatori (“vado a buttare l’acqua per la pasta”), strappando un sorriso amaro come quando, raccontando Dante, ti ricorda che l’ultimo verso dell’Inferno è pur sempre “e quindi uscimmo a riveder le stelle”.