Che cosa farò quando tutto questo sarà finito
Appunti dall’altra vita: senza bar, senza scuole, senza biblioteche. Gli amati russi, Parigi, l’Unione Sovietica e il podcast di un amico. Dove si ascoltano le voci di chi vede nel dopo una serata al pub, un bel pianto, una corsa sulla spiaggia
1. Non fare niente
Io sono uno che, anche nei periodi normali, sta molto in casa.
Sono, tendenzialmente, un pigro, e la vita all’aria aperta non mi attira tanto. Credo di aver preso da mia mamma, che, l’ultima volta che l’ho sentita, le ho chiesto se pativa questa forzata inattività, lei mi ha risposto che non la pativa per niente.
“Certo,– mi ha detto – è una tragedia, quel che succede fuori, ma qui dentro, a casa mia, io sto bene. Perché posso star senza far niente senza sentirmi in colpa perché non faccio niente”.
2. Essere costretti
Uno scrittore russo che mi piace molto, si chiama Daniil Charms, nel 1932 si è trovato in una situazione che mi sembra, in un certo senso, simile a quella descritta da mia mamma.
“Io sono stato perfettamente felice – ha scritto Charms – quando mi hanno tolto la carta e la penna e mi hanno impedito di fare qualsiasi cosa. La mia coscienza era tranquilla e io ero felice. E’ successo quand’ero in prigione. Ma se mi chiedessero se voglio tornare là o in una situazione simile a quella, io direi: no, non voglio”.
3. I social network
In questo periodo mia mamma ha anche avuto la febbre, ci siamo tutti un po’ preoccupati, solo che poi lei è guarita. “Son di prima della guerra” mi ha detto. Ecco. La guerra.
In questi giorni, a parte le corse all’alba (siccome son pigro mi costringo a correre, e in questo periodo lo faccio all’alba perché se no la gente mi urla che sono un assassino), a parte le corse all’alba e le file al supermercato, in questo periodo sono i social network, il mio strumento per esplorare quel che succede là fuori.
E, sui social network, ho visto che molti paragonano questo periodo alla guerra.
Per noi, secondo molti, questo isolamento da coronavirus sarebbe quello che è stato per i nostri nonni la guerra.
Solo che i nostri nonni, ho letto da qualche parte non mi ricordo più dove, son dovuti andare in guerra, noi dobbiam restare sul divano.
4. Dei filosofi
E’ anche un periodo che mi sembra siamo un po’ tutti più portati alle riflessione; siamo tutti un po’ dei filosofi, e forse per quello una delle cose che mi sono sembrate più sensate, è una cosa che mi ha girato un mio amico di Macerata, l’architetto Manuel Orazi.
E’ un video senza titolo, che si potrebbe forse intitolare Trovare l’armonia dentro di sé.
Viene inquadrato un signore che, seduto a un tavolo, con alle spalle una libreria con dei libri rilegati in pelle, di fianco un mappamondo di medie dimensioni, in sottofondo una musica sentimentale, archi, un libro in mano, dice, in russo: “In un libro del famoso saggio Lao Tzi, ho letto che per vivere in armonia con noi stessi dobbiamo finire le cose che abbiamo iniziato. Così avremo tutti più calma e serenità, nelle nostre vite. Mi sono messo a cercare per casa delle cose che avevo iniziato e non avevo finito. Così ho trovato e finito una bottiglia già iniziata di ‘Beluga’ (e tira fuori da sotto il tavolo una bottiglia vuota di Beluga, che è una vodka pregiata), mezza bottiglia di whisky (e tira fuori da sotto il tavolo una bottiglia vuota di whisky), una bottiglia di Martini (e tira fuori da sotto il tavolo una bottiglia vuota di Martini) e una bottiglia di Prosecco (e tira fuori dal mappamondo una bottiglia vuota di Martini). E mezza scodella di insalata Oliv’e. Non avete idea dell’armonia che si è fatta dentro di me. Ditelo a tutti quelli che vogliono avere la pace dentro di sé: non lasciate le cose incompiute” (la traduzione è di Giada Bertoli).
Ognuno ha il suo modo di reagire.
Ho due vicini che hanno messo sul balcone la bandiera italiana, il tricolore, che è una forma, mi sembra, di pensiero magico, come se la bandiera italiana potesse proteggerci dal virus, come l’aglio coi vampiri, più o meno.
5. A Parigi
Malika Ayane, invece, ha scritto che, nonostante la reclusione forzata, lei si veste ogni giorno come se dovesse passeggiare a Parigi.
Quando l’ho letto io ho pensato che io, anche da prima del coronavirus, mi vesto sempre come se dovessi passeggiare a Parigi.
Anche da prima di andare a Parigi.
E quando sono andato a Parigi, difatti, mi son trovato benissimo, mi sentivo perfettamente a mio agio.
6. L’Unione Sovietica
Ma, a parte Parigi, e a parte la guerra, la nostra condizione contemporanea a me ricorda quella sovietica.
Sarà perché un po’ l’ho studiata, l’Unione Sovietica, e pochissimo, un mese, ho fatto in tempo a abitarci, in Unione Sovietica.
Mi è venuta in mente per esempio una battuta di un’opera teatrale di Nikolaj Erdman, dove c’era uno che aveva letto sull’Izvestija che la vita è bella, ma pensava che prima o poi ci sarebbe stata una smentita.
E una delle prime interviste di Iosif Brodskij in occidente, mi è tornata in mente, dove Brodskij diceva che, sotto il regime sovietico era come essere soggetti a una forza di gravità decuplicata. Che ogni parola, e ogni gesto avevano ripercussioni enormi. Vivere in occidente, invece, aveva detto Brodskij, era come vivere sulla luna: si poteva saltare e fare capriole senza alcuno sforzo, ma non significava nulla perché era esattamente quello che facevano tutti.
7. Est e ovest
Forse però l’Unione Sovietica era tutta un’alta cosa, perché nell’unico paese europeo dove sopravvive un regime che ricorda quella sovietico, in Bielorussia, c’è l’unico campionato di calcio europeo che si gioca ancora.
E il presidente della Bielorussia, Lukašenko, ha detto che il coronavirus non è un virus serio, “è una psicosi”, e che, per uccidere il male, “bisogna fare la sauna, bere molta vodka, e lavorare molto”.
Così ho letto.
Sui social network. Invece per radio, qualche settimana, prima che il virus esplodesse negli Stati Uniti ho sentito Riccardo Barlaam, inviato negli Stati Uniti del Sole 24 Ore, dire che per l’emergenza coronavirus là avevano istituito una commissione presieduta dal vicepresidente Mike Pence, e che la prima cosa che han fatto, in questa commissione, si vede in un video, si son messi a pregare.
“Non ci sono grandi aspettative, negli Stati Uniti, sui risultati di questa commissione”, ha detto Barlaam.
8. Come prima
Comunque la cosa che niente sarà più come prima, che ho letto tantissime volte, in questi giorni (quanti giorni? quanti giorni sono, che siamo messi così?), quella cosa lì che niente sarà più come prima, adesso io, non voglio far quello che ne sa, ma era così anche prima, secondo me.
9. Senza
Certo in questi giorni, bisogna riconoscerlo, è un’altra vita.
Senza bar, senza scuole, senza ristoranti, senza cartolerie, senza librerie, senza biblioteche.
La biblioteca. Ho dei libri, in casa, che ho preso in prestito in biblioteca, non mi han neanche mandato l’avviso che sono scaduti.
E anche il primo aprile. Adesso io non so se sono io, ma qui, a casa mia, è stato un primo d’aprile senza pesci d’aprile. Che pazienza. Possiamo farne a meno, dei pesci d’aprile.
E il 25 aprile, che di solito c’era il corteo del 25 aprile, e ogni tanto mi chiamavano da qualche parte in Emilia a parlare, per il 25 aprile, quest’anno mi hanno chiesto di registrare un video.
E io ho pensato che gli registro una poesia di Nino Pedretti, che si intitola I partigiani.
10. I partigiani
“Non è stato per via della gloria / che siamo andati in montagna / a far la guerra. / Di guerra eravam stanchi, / di patria anche. / Avevamo bisogno di dire: / lasciateci le mani libere, / i piedi, gli occhi, le orecchie; / lasciateci dormire nel fienile, / con una ragazza. / Per questo abbiam sparato, / ci siamo fatti impiccare, / siamo andati al macello / col cuore che piangeva, / con le labbra tremanti. / Ma anche così sapevamo / che di fronte a un boia di fascista / noi eravam persone, / e loro marionette / E adesso che siam morti / non rompeteci i coglioni / con le cerimonie, / pensate piuttosto ai vivi, / che non debbano perdere anche loro / la giovinezza”.
11. In un fienile
A me, in questa poesia, l’idea che si può morire per aver le mani libere, i piedi, gli occhi, le orecchie, a me piace moltissimo. Per dormire, in un fienile, con una ragazza.
Cose per le quali vale la pena vivere, e morire.
E sono cose, come il pesce d’aprile, delle quali adesso noi dobbiamo fare senza.
E che, adesso, io non ho mai dormito, in un fienile, ma adesso, se ci penso, se mi metto a pensarci intensamente, mi mancano da matti, quelle dormite in un fienile che non ho mai fatto.
12. Appena torno
E forse è per quello, che di tutte le cose che ho visto e che ho sentito in questi giorni, nel mio appartamento, dentro il mio computer, quella che forse mi ha colpito di più è un podcast che ha messo su un mio amico, che si chiama Andrea Cardoni, e il podcast si chiama Appena torno, e la gente manda dei file sonori in cui racconta le cose che farà appena appena ci lasceranno andare, e nessuno di loro vuole andare in un fienile, ma fanno delle cose interessanti, mi sembra.
13. Sette
Un ragazzo che ha un forte accento toscano ne ha messe in fila sette, e le ha ordinate dalla settima alla prima, come in una hit parade: al numero 7 vuole andare a correre sputando per terra e salutando quelli che incrocia mentre corre; al numero 6 vuole tornare a ignorare l’esistenza dei virologhi, o virologi, non sa bene; al numero 5 vuole lavarsi le mani meno di due volte al minuto, che ormai, dice, ha delle mani che sembra lo zio di sua mamma; al numero 4 vuole fare un lungo viaggio senza preoccuparsi di zone rosse, quarantene, autocertificazioni eccetera; al numero 3 un salto di quattro file, allo stadio, per un gol di Chiesa contro i gobbi (i gobbi sono la Juventus) per abbracciare uno qualsiasi, sconosciuto, che, quattro file più in giù farà la stessa cosa e si abbracceranno contenti della vittoria della Fiorentina contro la Juventus al novantesimo; al numero 2 una lunghissima serata al pub stretto in un abbraccio sicuro e senza avere troppa paura di assaggiare la birra di un altro e al numero uno: pesare, annusare, qualificare ogni singola stretta di mano, ogni banale bacio e ogni abbraccio reale.
14. Leo
Il secondo è uno con un forte accento romano che si chiama Leo. Leo, quando tutto sarà finito, vuole buttare il telefono, buttarlo proprio, e andare a abbracciare tutte le persone che sta abbracciando virtualmente ora, e poi vuole andare al mare, a fare una bella passeggiata sul lungomare.
E un’altra cosa importante, vuole svegliarsi, la domenica mattina, andare a prendere il giornale, andare al baretto di piazza Vittorio a prendere il caffè lì e leggere il giornale un paio d’ore con calma.
E poi questo signore romano chiede il permesso di dire una cosa, ma una cosa proprio così, libera, che lui si è rotto il cazzo di tutti quelli che dicono che loro si lavavano le mani frequentemente pure prima, è una cazzata: prima, l’uomo medio, quando pisciava, le mani non se le è mai lavate. E’ così. Perché… perché è così, perché non ci pensi. Quindi vuole tornare a lavarsi le mani con una frequenza normale, dice questo signore romano che alla fine si è anche un po’ accalorato.
15. Barbara
E una donna di Bologna che si chiama Barbara ha detto: “Il giorno che ci dicono che ci liberano io la prima cosa che faccio, piango.
Quando ho finito di piangere, io prendo le mie quattro figlie che stanno passando la quarantena con me, gli metto su della musica a palla tipo Helden di David Bowie, oppure qualcosa degli Smiths, oppure Pure Morning dei Placebo e poi noi cinque balliamo come pazze.
Poi se sono già aperte le gelaterie mangiamo un gelato e se sono aperte le pizzerie, una pizza.
Poi prendiamo la bicicletta e facciamo un giro, andiamo a zonzo senza dover rendere conto a nessuno, senza nessun decreto che ce lo impedisce.
Poi io le persone che in questi giorni sono quelle che videochiamo più volte al giorno, quelle a cui voglio bene e che ci stiamo tenendo su per i capelli a vicenda come in una specie di staffetta, le voglio andare a trovare tutte quante. Vado a casa loro, suono, loro mi aprono e ci abbracciamo.
Una in particolare, che sta a sessanta chilometri di distanza, mi toccherà prendere la macchina per andare a trovarla questa persona, oppure toccherà a lui, a quest’uomo, prendere la macchina e venire da me, comunque io credo che il suono di quel Telepass lì che si aprirà prima di incontrarci sarà un suono che sarà poi difficile da dimenticare.
Poi non lo so cosa facciamo quando saremo insieme io e quella persona lì, faremo diverse cose, una comunque sarà andare a vedere il Po.
Tutto questo, accadrà in due giorni che saranno un sabato e una domenica e niente, e il lunedì io vorrei ricominciare a lavorare”.
16. Carla
Poi c’è una ragazza che si chiama Carla che, una volta finito il suo isolamento, festeggerà la sua laurea. La festeggerà per giorni e giorni. Prima di festeggiare passerà a comperare una marea di trucchi, perché una delle cose che le mancano di più è truccarsi e uscire.
Poi andrà a comprar dei pasticcini, perché con i suoi colleghi si erano organizzati per andare a mangiare porcaggini (dice proprio porcaggini, che io non avevo mai sentito e mi sembra molto eloquente) e poi dice che vuole scendere a casa per festeggiare con i suoi nonni e la sua famiglia, che hanno comprato i regali un mese fa anche se lei ancora non si è laureata (non si capisce come mai festeggia la laurea se non si è ancora laureata ma non è la prima, credo, a farlo).
E quando scende a casa dice Carla che deve fare una cosa importantissima, cioè correre, in mezzo alla natura, ascoltando i podcast di Barbero, con le collane che le hanno regalato le nonne e mangiando pasticcini.
17. Laura
Laura, la prima cosa che farà appena finisce, sarà uno spostamento senza comprovate esigenze lavorative, senza situazioni di necessità e senza motivi di salute, cioè un viaggio così, a caso.
Poi rientrerà presso il suo proprio domicilio senza doversi portare dietro la bolla ministeriale con il numero del decreto
18. Nadia
Lei, quando finisce tutto, si vuol dimenticare di tutti i buoni propositi che ha fatto quando tutto non stava finendo. Vuole guardare indietro e vedere che non c’era un prima e un dopo, che non c’era una linea di mezzo, che quella linea di mezzo si è sbriciolata in mezzo al tempo.
Lei, quando finisce tutto, a un certo punto, da qualche parte nel mondo e nel tempo vuole pensare “Ma dov’erano le cose che avevo pensato di fare dopo?” e sentire che si sono sbriciolate tutte perché le sta già facendo oppure non importa.
19. Finalmente
Rosanna vuole uscire di casa presto per portare Joel a scuola e saltellare con lui, un piede alla volta, mentre gli tiene la mano.
Lo vuole portare al parco e vederlo mentre gioca a pallone con i suoi amici, e la sera, quando tornano a casa, vuole che finalmente tornino a sentire l’odore di casa loro.
20. Giancarlo
Quando tutto sarà finito, Giancarlo tornerà a fare quello che faceva prima che cominciasse, resterà a casa.
21. Nicoletta
Quando tutto tornerà normale, Nicoletta si rimetterà a scrivere, che adesso tutto questo tempo davanti le toglie il fiato, tutte queste giornate che assomigliano a dei fogli bianchi la paralizzano, lei per scrivere ha bisogno di non avere tempo, scrive dieci minuti appena alzata, mezz’ora durante la pausa pranzo in ufficio, scrive quando non riesce a tenere gli occhi aperti la sera tardi, lei tutto questo tempo, si è accorta, lo perde.
22. Domenico
Quando sarà finita, Domenico spera che continuerà a vivere, come prima, come adesso, come dopo.
In fin dei conti, si chiede, che cosa è successo?
Che abbiamo assistito a una sagra di stupidità che non fa molta differenza rispetto a quelle precedenti.
Guarderemo con più attenzione a questi modi, a questi atteggiamenti?
Mah.
Siamo quelli.
La morte resta una delle cose con le quali dobbiamo fare i conti e quindi lui pensa che anche gli anziani, e lui non è giovane, hanno il diritto di continuare a morire dentro le loro case, come si diceva una tempo “Tra l’affetto dei loro cari” invece che intubati perché la morte va sconfitta a tutti i costi dentro un ospedale.
23. Il volume e il vuoto
Francesca appena torna non vuole dimenticare chi è stata in queste settimane, che forse poi saran dei mesi, non vuole dimenticare di aver capito che in questi mesi siamo stati quelli che eravamo già, solo a un volume un po’ più alto.
Le prime cose che farà, Francesca, saranno portar suo figlio, Pietro, a correre, sulla spiaggia, andare dal suo fioraio a comprare un mazzo di tulipani, prendersi cura dei fiori, abbracciare suo padre, probabilmente tenere ancora nel cassetto tutte le cose che in queste settimane ha pensato che avrebbe dovuto dirgli e che continua a non dire; vuole andare nel deserto, a Tozeur, in un’altra forma di isolamento, più luminosa, e vuole ritrovare la forza di scrivere, che in queste settimane è volata via, come se questo vuoto non solo non si riuscisse a riempire, ma non riuscisse a parlare, come se fosse un vuoto muto, ancora, e però questo è un vuoto che le ha dato la calma dello stare, ed è quindi spaesante ma fondativo, e tra le prime cose che vuole fare, Francesca, c’è non dimenticarselo.
24. Il 20
Quando finisce tutto, Chiara vuole prendere il 20, che non avrebbe mai detto che le potesse mancare un autobus e invece l’altra mattina all’alba s’è affacciata alla finestra e ha visto il 20 che era fermo al semaforo, vuoto, e le è scesa una lacrima.
E poi con il 20 vuole andare a trovare sua mamma, così può litigare di persona perché litigare per telefono non è la stessa cosa.
25. Antonio
Antonio, prima cosa, aumenta lo stipendio della baby sitter, perché si è accorto che la sua bambina è una bomba a mano e fa fatica a starci dietro, quindi la baby sitter guadagna troppo poco. Poi va al parco, perché vuole toccare l’erba, che è un po’ che non lo fa, mangerà l’erba, e poi subito rimane al parco e fuma, l’erba, perché gli spacciatori sono solo lì. Poi, spera che inizi il campionato e va a tifare il Parma.
Un’altra cosa che si è segnato di fare è andare in tangenziale, perché gli manca un po’ la coda. Che, a lui, la coda in tangenziale gli piace, che è un momento che si mette lì, si rilassa, ascolta la musica, poi è appena uscito il nuovo disco dei Pearl Jam quindi sarà bellissimo, stare in coda in tangenziale.
Poi beve una birra, non in casa, in pigiama, ma al bancone di un pub, fatta bene, poi va alla comunità, dai suoi amici extracomunitari che sicuramente hanno bisogno di compilare un po’ di moduli per il lavoro stagionale nei campi di pomodori, quindi va a vedere se può dare una mano.
Non farà più conference call per almeno un mese, perché sta tutto il giorno a fare conference call, che è anche bello sapere che lo pagano per stare al telefono, però non è la sua vita ideale.
E poi, come ultima cosa, che, dice Antonio, dovrebbe essere la prima, andrà in chiesa a ringraziare il Signore di essere ancora al mondo.
26. Max
Quando si passerà dalla fase 1 alla fase 2, Max nella fase 2 vuol fare delle cose nuove, quindi lui pensa proprio che andrà da qualche parte, dove c’è un panorama, vasto, tipo anche il promontorio di Gabicce, e lì, lui, Max, si farà una bella paglia.
27. Simone
Quando tutto sarà finito, a Simone non è che cambierà troppo, perché in casa ci stava pure prima, però vuol stare a casa con i suoi amici, sul divano a fare niente, a mangiare una pizza, gli manca tanto la pizza con i suoi amici.
E poi vuole andare allo stadio a vedere la Roma, e capire che è importante vederla, non gliene frega niente se vince o se perde, vuole solo vedere la Roma insieme a altre cinquantamila persone che non conosce.
E poi vuole andare al mare.
Perché una cosa bella che ha portato questa quarantena, è che adesso lui lo sente, il mare, perché non ci sono macchine, non c’è gente che parla. Però, è un’arma a doppio taglio, perché lo sente ma non ci può andare, e allora vuole andare al mare, vuol mangiare un gelato, e vuole tornare a teatro: vuole tornare sul palco e fare uno spettacolo in un teatro piccolo, dove si sta stretti, dove ci si sente, ci si vede e ci si aiuta. E poi vuol far l’amore. Perché gli manca. Anche quello gli manca. Non più della Roma, degli amici e della pizza, però comunque gli manca.
28. Camilla
Quando tutto passerà, Camilla riprenderà in mano questa macchinetta fotografica usa e getta, da due soldi, che aveva comprato poco prima del lockdown, e andrà a passeggiare per Roma per terminare questo rullino, le mancano 12 foto, quindi quando lo andrà a sviluppare avrà una Roma prima della chiusura totale e una Roma post, chiusura totale.
29. Ancora il mare
Poi c’è uno che non si sa come si chiama che dice che, appena torna, si vuole mangiare una frittura di pesce, si vuole mangiare il mare, fritto, il mare, vuole stare sulla spiaggia e mangiarsi tutto il pesce fritto, tutto.
30. Enrico
Enrico appena torna si deve mettere a cercare lavoro seriamente, perché a 52 anni è rimasto a piedi perché l’azienda con la quale collaborava non lo paga da maggio dell’anno scorso, da prima del coronavirus.
Poi vuole andare a trovare una famiglia rom, son tutti italiani, cittadinanza italiana, che son state le uniche persone che in questo periodo gli son state vicine spontaneamente e senza voler niente in cambio. Con questo lui non vuole dire che tutti gli imprenditori italiani sono dei figli di mignotta, che tutte le famiglie rom sono persone per bene, però, questo è quello che è successo a lui.
31. Fabiana
Fabiana, appena torna, lei spera che sia venerdì sera, sul tardi, come solo Conte sa fare, così questa ritrovata libertà ce la godiamo sul serio e l’ufficio può aspettare ancora un weekend, tanto sono ancora in cassa integrazione, dice.
Undici e tre quarti mezzanotte, così mamma, papà, nonno Cesare e nipotine dormono già e lo scoprono soltanto la mattina dopo, quando lei si attacca al citofono e li invita al bar a fare colazione.
Poi vuole prendere la macchina e buttarsi sulla strada verso giù, verso il paese, in Ciociaria, farsi quella bella via crucis di saluti ai parenti che ogni tappa un caffè, un bicchiere di vino, un amaro e almeno una domanda scomoda abbinata. Tanto chiederanno sempre del fidanzatino anche se, a 35 anni, cominciano a sentirla, quella puzza di zitella, e poi del lavoro, che dici “Tutto bene” e sorridi.
Che non è che tutte le volte che li passi a trovare ti puoi sfogare che quella, per te, è una quarantena esistenziale da dieci anni, ormai.
Però li vuole abbracciare e baciare tutti, Fabiana, uno a uno, anche perché le zie di settant’anni non le sta vedendo tutte tutto il giorno tutti i giorni su zoom come gli altri, però le mancano, le mancano tanto. E finito il giro si ferma poi da sua cugina, che il suo pancione è forse l’ultima cosa che ha accarezzato davvero, prima di tutta questa storia. Vuole sentire come è cresciuto mese dopo mese, che alla fine l’esempio più grande che la vita va avanti qual è, se non questo?
Poi si rimette in macchina verso Roma, però prima fa tappa al cimitero da nonna, le dice che adesso la capisce quella smania di tenere la dispensa e il congelatore sempre pieni, pure quella voglia di salutare, ogni volta, come se fosse l’ultima.
E quando poi Fabiana torna davvero, a Roma, lei spera che sia ancora estate, lei vorrebbe solo tornare a quello che era un attimo prima, la vita normale, trovare tutti quelli che c’erano e che ci sono stati anche in questi giorni così strani, e quelli che invece sono diventati fantasmi, una volta per tutte lei li vorrebbe lasciare andare.
32. Questa roba
Quando finirà questa roba, Francesca vuole passeggiare, e fare a piedi qualche chilometro in campagna, ascoltando tutti i rumori per bene. Poi vuole andare in treno a Milano, sedendosi sui sedili esposti al sole, e passeggiare anche a Milano e, se non c’è troppa gente, perché comunque troppa gente non le piace mai, salire sul tetto del Duomo e guardare giù e tutto intorno.
Vuole tornare legittimamente cinica, e poter dire che i cori stonati sui balconi li avrebbe vietati; che un paese in lutto non deve cantare, e men che meno stonare, e sguaiare, ma tanto non avrà mai il coraggio di dirlo perché in fondo è buona. E vuole che qualcuno le chieda di registrare un audio, con tutte le cose che rimpiange della quarantena.
E niente. Le voci vere, di tutta questa gente, e molte altre, le trovate qui: https://www.spreaker.com/show/ appena-torno.
generazione ansiosa