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Per il governo il mondo del gioco legale resta un fantasma

Massimiliano D'Aleo

Il governo continua a ignorare il settore che rimane in lockdown. La preoccupazione di gestori e dipendenti delle sale bingo (12.000 occupati). E Marcotti (Federbingo) replica alle polemiche di Crimi (M5s): “Venga nelle nostre sale”

“Lo Stato si è dimenticato di noi”. Inizia così il duro sfogo di Raffaele, 40 anni, gestore della sala bingo di via Ugo la Malfa di Palermo (“Bingo la Malfa”). “Siamo chiusi dal fatidico 8 marzo - racconta - e ancora nessuno ci dice quando e se possiamo riaprire. Decreto Cura Italia, Liquidità, Rilancio, niente di niente: nessun accenno al settore del comparto gioco. Siamo stati esclusi da tutto”.

Delusione, rabbia e rassegnazione. Sono questi tre i sentimenti che prova l’imprenditore palermitano che non dimentica il fattore più importante di questo blocco delle attività: le persone. “Sono preoccupato - rivela - per tutti i nostri dipendenti e per tutti coloro che lavorano nel comparto gioco. Per fare un esempio, solo nelle sale bingo italiane lavorano circa 12.000 persone. Si sta creando una situazione paradossale in cui si è venuto a delineare un quadro ben preciso: esistono dipendenti di serie A, di serie B e di serie C”.

 

Da Palermo a Roma la situazione non cambia. Maria, che lavora in una società che gestisce sale bingo, scrive al Foglio: “Non si capisce che questo settore permette a intere famiglie di pagare mutui, affitti, bollette e spesa. Perché nessuno ci dice quando riaprire?”. “Non dimentichiamoci - aggiunge - che le sale sono gestite dai Monopoli e senza il controllo dello Stato il tutto andrebbe in mano alla criminalità organizzata”.

  

  

Già lo scorso 5 maggio, sul Foglio, avevamo raccontato il danno che lo “stallo”, deciso dal governo, sta provocando alle casse dello stato. A spingere per tenere chiuse le aziende attive nel settore soprattutto il M5s. Non a caso lo scorso 30 aprile il capo politico ad interim del Movimento Cinque Stelle, Vito Crimi, twittava: “Slot machines e gioco d'azzardo devono essere gli ultimi a tornare in attività. La decisione di posticiparne la riapertura è positiva, accoglie le nostre richieste. Se non riaprissero più sarebbe meglio. Continua la nostra battaglia di civiltà in difesa della salute dei cittadini”.

 

 

Parole che hanno scatenato l’ira di tutti gli operatori. Italo Marcotti, presidente di Federbingo parte proprio da quel tweet e rilancia: “Partendo dal presupposto che non riaprire le sale bingo significa tenere chiusa Fca, visto che questo settore conta 12.000 occupati, invito personalmente l’onorevole Crimi in tutte le nostre sale italiane per parlare con i nostri dipendenti e i nostri clienti e vivere la nostra realtà. Non si capisce, tra le tante cose, che il bingo, oltre a essere un gioco a basso contenuto di dipendenza (come evidenziato da uno studio effettuato dall’Istituto Superiore della Sanità) permette a tanta gente di non rimanere da sola, di stare in compagnia, di coltivare amicizie e in alcuni casi anche di innamorarsi”.

 

“Bisogna ricordare - prosegue - che il giro d’affari intorno al bingo è di circa 1 miliardo e 500 milioni di euro e che il reddito erariale si attesta a circa 320 milioni di euro. Inoltre dove c’è il gioco illegale, c’è la mafia. Eppure gli imprenditori e i dipendenti di questo settore sono dei cittadini fantasmi. In molti, infatti, non riescono a ottenere nessun servizio da parte delle banche: dall’apertura del conto, fino ad arrivare al mutuo e alla fideiussione”. 

Come se non bastasse il 14 maggio è stato sottoscritto dai sindacati di categoria il protocollo sanitario d’intesa contro il Covid-19 a tutela della salute dei 12.000 dipendenti (e ovviamente dei clienti) delle 197 sale bingo italiane. A firmarlo i sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs, con Fipe Confcommercio e le società Gruppo Milleuno spa, Gruppo Operbingo Italia, Hbg Entertainment srl, Federazione Italiana Concessionari Bingo, Novomatic Italia e Cirsa Retail srl. Un protocollo che, ricorda Marcotti, “era stato validato il 29 aprile da Francesco Violante, professore ordinario di medicina del lavoro all’Università di Bologna”.

Insomma, gli spazi per garantire il distanziamento sociale ci sono (visto che le metrature delle sale bingo sono abbastanza rilevanti), il protocollo e le linee guida sanitarie sono state definite, la disponibilità dei gestori e dei dipendenti è totale (come dimostra anche il gruppo Facebook “Uniti per il bingo” che riunisce circa 3.000 addetti ai lavori), ma il governo, per ora, guarda altrove.

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