Come finisce una pandemia, come facciamo a riconoscerne la fine, c’è un segnale, un dato, una curva da seguire? Ci stiamo tormentando su questo finale, mentre allentiamo i lockdown e ci promettiamo: richiudiamo subito se ce n’è bisogno, consapevoli del fatto che con tutta probabilità non riconosceremo nemmeno il momento in cui chiudere senza fare troppe storie. L’unica speranza luminosa è il vaccino, la soluzione definitiva, quella che si vede a occhio nudo, e brilla. Da lontano, perlomeno, perché anche il vaccino ha le sue fasi: la prima è scoprirlo (ci sono enormi pressioni ed enormi investimenti, e buone notizie sui test); la seconda è distribuirlo alla popolazione mondiale (si creeranno molti conflitti: nazionalistici, tra paesi ricchi e paesi poveri, all’interno di ogni paese); la terza è far sì che la maggior parte della popolazione si faccia somministrare il vaccino. Abbiamo sentito parlare di immunità di gregge in modo sciagurato e prematuro e ora associamo al concetto esperimenti sociali feroci, ma quando c’è il vaccino in realtà l’immunità di gregge torna a essere quello che è: una promessa di guarigione collettiva. Nelle prime due fasi, saranno le aziende farmaceutiche e i governi a prendere le decisioni, nel bene o nel male, mentre la terza fase riguarda gli individui, cioè ognuno di noi. Le premesse sono abbastanza rassicuranti: tutti gli studi pubblicati da quando è scoppiata la pandemia mostrano una ritirata dei movimenti No vax e un’erosione delle convinzioni No vax. Secondo questi stessi studi però, quando la paura del contagio diminuisce, quando cioè pensiamo di intravedere il finale, l’istinto No vax torna a crescere.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE