Montanelli avrebbe votato a favore dell'abolizione della sua statua
Il monumento è fissità e presunzione di immortalità. Il suo, da bravo egocentrico e da novelliere, ritrattista e corsivista, lo voleva fatto di parole
Montanelli sarebbe favorevolissimo all’abbattimento della statua o monumento, peraltro bruttino, a lui dedicato. Il suo monumento, da bravo egocentrico e da novelliere, ritrattista e corsivista, lo voleva fatto di parole talora scontrose, talora ruffiane, ben scelte nel lessico italiano e toscano, parole spesso coraggiose, qualche volta comode e di pronta beva, sofisticate quando necessario, sempre popolari e accessibili, irritanti, sornione, comunque parole che volano, anche se scritte, non pietre, non materiali grezzi e naturali modellati dall’univoco abbraccio di una pubblica opinione postuma. Il monumento è fissità, presunzione di immortalità esposta alla pioggia e alla corrosione, mentre l’idea di sé, la statua psicologica e morale che Montanelli ha scolpito nella vita professionale e pubblica, è tutta mobilità, autocontraddizione, variabilità all’inseguimento dei gusti del lettore. Chi l’abbia letto e conosciuto nella sua caparbia asocialità, e nel suo contrario sentimentale, nelle sue pulsioni talvolta orrende e non sempre eleganti, ma piene della conoscenza saporita di certi mistici, la sapida notitia, sa che Montanelli era innamorato di sé stesso, ma alla fine con che di garbato, di dubbioso, malinconico e perfino di depressivo.
La storia della ragazzina eritrea presa per compagna di letto è ingiudicabile, è madornale e mostruosa alla luce della sensibilità presente, eppure non si può che affidarla alla verità dell’Italia di quegli anni così lontana e segreta alla luce del verdetto morale possibile, qui e adesso, sul machismo possessivo di un soldato coloniale di Mussolini. Chi poi è senza peccato, scagli la prima pietra contro la pietra del monumento. Il monumentalizzato aveva le sue ipocrisie, le sue mattane, pure qualche significato importante è sopravvissuto alla sua parabola carnale, e di sicuro avrebbe considerato perfino punitivo l’orgoglioso ometto lungo e dinoccolato piegato sulla sua Olivetti, esposto senza possibilità di replica alle opinioni contrastanti che sono il complemento sgradevole della venerazione alla persona. Venerazione, una parola che Cilindro avrebbe usato con proprietà a proposito di un idolo, lui che si sentiva un idolo, ma solo verbale.
La decapitazione di Cristoforo Colombo, l’oltraggio a Winston Churchill e altri gesti da raccolta rifiuti storici, che scaricano la presunta immondizia del passato nel letto sempre così accogliente del senso di colpa occidentale, sono il peggiore capitolo della nostra incongrua e stupida baldanza morale. Ma non tutte le fesserie vengono per nuocere, e all’idoloclastia rivolta contro il monumento a Montanelli non si può rispondere con un “giù le mani dal divino cronista” se non tradendo lo spirito, la verve, che era propria di quell’oggetto di deliquio o d’amore. Ora il municipio di Milano dovrà discutere una proposta di rettitudine moralistica avanzata da un’organizzazione arcobaleno, quali che siano i meriti e demeriti della congrega, e se alla fine deciderà per il mantenimento del mostriciattolo minerario partorito da sincera devozione e autentico conformismo, pazienza, va bene anche così. Ma è bene sia notato, così, per buona grazia intellettuale, che Montanelli avrebbe votato per la propria abolizione in quanto monumento, profittando dell’occasione per scolpire l’unico oggetto estetico e spirituale che aveva a cuore, la chiacchiera in prosa.