La povertà sostenibile
Il libro di Shellenberger, “eroe dell’ambiente” di Time, contro la “nuova religione ambientale”
Roma. Nel 1980 Paul Ehrlich, il biologo della “bomba demografica” e delle grandi carestie causate dalla sovrappopolazione, fece una scommessa con l’economista Julian Simon: investirono mille dollari in cromo, rame, nichel, stagno e tungsteno, le materie prime fondamentali, dandosi appuntamento dopo dieci anni. Se il loro costo fosse cresciuto a causa dell’aumento della richiesta e della diminuzione della disponibilità, Simon avrebbe pagato la differenza. Se i prezzi fossero scesi, sarebbe stato Ehrlich. E Simon vinse la scommessa. L’apocalisse non c’era stata.
“Apocalypse Never”, non ci sarà mai alcuna apocalisse ambientale, recita il titolo del libro (per Harper Collins) di Michael Shellenberger, nominato “eroe dell’ambiente” da Time magazine. “Esagerazione, allarmismo ed estremismo” che dominano l’ecologismo, scrive Shellenberger, sono contrari alla scienza e a quello che definisce “un approccio positivo e umanistico ai problemi ambientali”. Il no profit verde blocca lo sviluppo delle nuove fonti energetiche importanti come dighe, impianti di gas, fracking. Nei paesi poveri rallentano la crescita manifatturiera che potrebbe consentire a questi paesi di diventare abbastanza ricchi da pensare anche alla conservazione dell’habitat. “Opponendosi a molte forme di sviluppo economico in Amazzonia, molte ong ambientaliste, governi europei e filantropie hanno peggiorato la situazione”, scrive Shellenberger. Contrariamente al dogma ambientalista degli anni Settanta, le risorse naturali, tra cui energia e cibo, non si sono esaurite ma sono diventate più disponibili di quanto ci si aspettasse.
Shellenberger identifica l’ambientalismo come “la religione laica dominante dell’élite istruita e dell’alta borghesia nella maggior parte dei paesi sviluppati”. “L’ambientalismo apocalittico offre alle persone uno scopo: salvare il mondo da qualche disastro ambientale o cambiamento climatico”, scrive Shellenberger. “Fornisce alle persone una storia che li interpreta come eroi”. Una religione “apocalittica, distruttiva e autolesionista”. E’ la tecnologia invece la chiave per il cambiamento.
Lo sviluppo della plastica ha contribuito a ridurre la domanda di avorio, olio di balena e della spoliazione delle foreste. Gas naturale e nucleare sono decisivi. “Solo abbracciando l’artificiale possiamo salvare ciò che è naturale”. In una recensione del Wall Street Journal si racconta di come Shellenberger fosse uno zelota green, che raccoglieva fondi per la Rainforest Action Network, che faceva campagna per proteggere le sequoie, promuovere le rinnovabili, fermare il riscaldamento globale e migliorare la vita nel Terzo mondo. Vuole ancora aiutare i poveri e preservare gli ecosistemi, ma attraverso l’industrializzazione anziché lo “sviluppo sostenibile”, nuovo mantra in occidente.
Non siamo nel mezzo della “sesta estinzione di massa”, perché solo lo 0,001 per cento delle specie del pianeta si estingue ogni anno. Le balene non sono state salvate da Greenpeace, ma dai capitalisti che hanno scoperto sostituti più economici dell’olio di balena che hanno decimato l’industria della caccia alle balene. E i cambiamenti climatici non hanno causato un aumento della frequenza o dell’intensità di alluvioni, siccità, uragani e tornado. Le pale eoliche e l’energia solare sono troppo costosi e inaffidabili, inoltre causano troppi danni ambientali perché richiedono vaste aree e danneggiano la flora e la fauna. Lo “sviluppo sostenibile” è una piaga: “Le nazioni ricche dovrebbero fare tutto il possibile per aiutare le nazioni povere a industrializzarsi. Invece molti di loro stanno facendo il contrario: cercare di rendere la povertà sostenibile, piuttosto che trasformarla in storia”.
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