(foto LaPresse)

Abbattere le statue per sbriciolare la storia

Guido Salvini

La storia dell’uomo non può diventare una pagina bianca. La furia iconoclasta vuole rinnegare gli orrori dell'Occidente, dimenticando ciò che ha dato all’umanità: dall'arte alla conoscenza scientifica sino ai diritti dell’uomo e del cittadino

È del tutto comprensibile che in un momento, soprattutto negli Stati Uniti, di gravi tensioni razziali che sono sfociate anche in eventi tragici, le proteste si scaglino contro obiettivi simbolici e immediati come le statue, quella di Cristoforo Colombo e di altri personaggi del passato razzista degli Stati Uniti come i generali sudisti.

 

In Inghilterra l’obiettivo sono diventate le statue di epoca colonialista, quelle di Edward Colton, commerciante di schiavi e di Cecil Rhodes precursore dell’apartheid. Addirittura quella di Winston Churchill che sicuramente razzista e denigratore degli indiani era ma senza dimenticare che senza la sua determinazione sarebbe stato ben più difficile sconfiggere Hitler.

 

È vero che alcune statue starebbero meglio in un museo che nelle piazze ma quello che sta accadendo si riduce a furia iconoclastica se non ci si ferma a riflettere almeno un momento sulla storia. È sbagliato infatti trasferire criteri e giudizi del presente a fatti e personaggi del passato, separandoli dal loro contesto per giudicarli alla luce del diritto e della coscienza odierna. E’ il processo che viene chiamato “giuridificazione” della storia che però di storico non ha quasi nulla e manca di un approccio razionale.

  

Non dimentichiamo infatti che per secoli e secoli la storia degli uomini e dei vari gruppi ed etnie che abitavano il nostro mondo è stata essenzialmente una storia di sopraffazioni e violenze contro vicini e lontani. Molti dimenticano che le guerre di aggressione e di espansione, con tutte le loro tragiche conseguenze, erano considerate del tutto legittime come se fossero eventi naturali. Bastava, magari in tempi più recenti, che la guerra fosse dichiarata con le dovute forme diplomatiche del caso.

   

Solo con il patto Briand-Kellog del 1939 la guerra di aggressione tra le nazioni e i popoli è stata bandita e tale Convenzione, firmata da quasi tutti gli Stati, è stata la base giuridica per poter processare i capi nazisti a Norimberga per la guerra da loro scatenata. E solo nel 1948 l’ONU ha promosso la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo che è a sua volta la base per bandire ogni forma di discriminazione basata sulla razza, la religione, le opinioni politiche.

  

Nella guerra di tutti contro tutti che per secoli è stata la storia “naturale” del genere umano i  bianchi hanno colonizzato e schiavizzato non perché fossero più “cattivi” ma perché erano la “tribù” del mondo più forte sul piano economico, scientifico, militare e questo per ragioni storiche, geografiche, climatiche, come ha ben spiegato Jared Diamond nel saggio Armi acciaio e malattie. Da questo sono nate quelle autostrade per l’inferno che sono state le rotte negriere, rese possibili, non dimentichiamolo, dagli arabi, primi e attivissimi commercianti di uomini, che ai bianchi fornivano gli schiavi catturati nell’interno. Lo stesso è avvenuto nell’America del sud dove peraltro i popoli che vi abitavano come gli Aztechi ammazzavano allegramente in massa i loro vicini.

  

A questo teatro di orrori ben pochi hanno fatto eccezione. Tra questi il sovrano indiano Ashoka che, convertito al buddhismo, addirittura nel terzo secolo a.c. bandì le guerre di conquista dalla politica del suo regno e stabilì con un editto il rispetto e la convivenza tra tutte le religioni. Ma fu appunto, e purtroppo, un’eccezione.

  

Se si dimentica tutto questo, al di là di gesti dettati da una comprensibile rabbia e dalla volontà di portare alla luce discriminazioni che non sono ancora finite, si rischia di esasperare odi e divisioni che non fanno bene a nessuno e che alla fine favoriranno quelli che, come i suprematisti bianchi, vogliono ritornare alla guerra di tutti contro tutti.

   

Vi è poi il pericolo che la distruzione si trasferisca massicciamente in forma di censura sulle opere d’arte e letterarie. Si tenta di impedire la pubblicazione della Capanna dello zio Tom e la proiezione di Via col vento per il loro paternalismo razzista, dei libri di Mark Twain perché usava la parola “negro”, l’unica esistente allora, di vietare la rappresentazione di alcune tragedie di Shakespeare per la loro trama scorretta, si parla di censurare Dante nei versi in cui, forse anticipatore di Salman Rushdie, aveva messo Maometto all’Inferno. Purtroppo qualcuno ha anche ceduto a queste nuove censure. Già le nostre autorità sono state protagoniste di quel puerile atto di sottomissione culturale che è stato coprire le statue dell’antica Roma con nudi femminili e maschili per non “offendere” il presidente iraniano in visita.

  

Ma la libertà di espressione e di creazione artistica non sono diritti cui si può rinunciare. Anzi sono proprio i pregiudizi del passato a poterci insegnare qualcosa. La storia dell’uomo non può diventare una pagina bianca. Non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca, tra l’altro rinnegando in toto l’Occidente e quello che, tra molti orrori, ha dato all’umanità: molto delle arti e della letteratura, la conoscenza scientifica e i diritti dell’uomo e del cittadino.

  

E per concludere in USA, dove di certo c’è un problema serio, ci sono grandi movimenti di protesta, in Italia ci sono i poveri epigoni. Per loro bastano solo poche parole. Indro Montanelli mi è sempre stato un po’ antipatico, lo considero un qualunquista reazionario, “anticonformista” ma difensori dei privilegi, pieno di sé e sopravvalutato come scrittore e trovo anche la sua statua molto brutta. Ma quelli che hanno avuto il coraggio di vandalizzarla con la vernice non sono niente. Volevano solo, anche se non lo capiscono, riempire un po’ il loro ego.

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