Roma. Gli intellettuali sono da sempre prolifici firmatari di appelli. Firmano di tutto. Non costa niente. Tranne stavolta. A spiegare al Times perché serviva l’appello su Harper’s di 150 scrittori, artisti e accademici a difesa della libertà di espressione contro la cancel culture è Steven Pinker di Harvard, che ha firmato ed è vittima di una petizione di 500 accademici, ricercatori e studenti che ne chiedono la cacciata dalla Linguistics Society of America. Citando alcuni suoi tweet, accusano Pinker di “minimizzare la violenza razzista”. “E’ orwelliana la mentalità per cui devono esserci assoluta conformità e unanimità”, ha detto Pinker. “Rompere la spirale del silenzio con una cospicua dichiarazione pubblica può essere come il ragazzino che dice che il re è nudo, vale a dire sottolineare qualcosa che le persone vedono in gran numero, ma sono intimidite dall’acquiescenza per riconoscerlo a voce alta”. Secondo Pinker, la democrazia rischia di cadere nella delazione: “Denunci per non essere denunciato. Dimostrate la vostra buona fede, che siete dalla parte giusta della crociata morale, denunciando quelli dalla parte sbagliata prima che voi stessi veniate denunciati”. Conversando con il Foglio, Pinker giustifica così la sua firma: “Nessuno è infallibile o onnisciente. Spesso, la visione convenzionale e l’opinione di maggioranza risultano sbagliate. Possiamo approcciarci alla verità e alla giustizia soltanto consentendo che nuove idee siano espresse e giudicate. Se le idee sono soppresse, possiamo essere certi che saremo dalla parte sbagliata”.
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