Quando la folla in protesta, dopo l’uccisione di George Floyd, ha finito di abbattere le statue di Robert E. Lee e William Davies e si è dedicata con rinnovato zelo a quelle di Cristoforo Colombo, di Leopoldo II, re del Belgio e sterminatore coloniale, poi del “razzista” Winston Churchill e molti altri, fino a Indro Montanelli, qualcuno ha provato ad avanzare l’idea che, seguendo questa logica, nessuna figura celebrata pubblicamente sarebbe stata risparmiata dal tribunale popolare sul passato violento, razzista e coloniale. E’ l’argomento della slippery slope, il piano inclinato: se l’azione colonialista di Colombo è esecrabile, come possono essere accettabili la paideia di Platone, il patriarcato a sfondo teocratico di Dante Alighieri, gli oltre seicento schiavi di Thomas Jefferson? Come possono essere glorificati leader politici che magari hanno portato a compimento progetti di indubbio merito storico, ma contemporaneamente si sono macchiati di peccati o crimini in altri ambiti, oppure non hanno creduto con sufficiente purezza nelle cause che pure hanno portato avanti? Abraham Lincoln è il presidente dell’emancipazione, ma non era propriamente un abolizionista, la sua vicenda umana non è tutta mitologia immacolata, è un chiaroscuro fatto anche di ambiguità, pragmatismo e calcoli cinici. E’ sufficiente per giustificare quel memoriale che è il luogo fra tutti più sacro della democrazia americana? Molti sostenitori della necessità di ripulire il paesaggio dal passato oppressivo hanno rifiutato la critica, dicendo che era fondata su una falsa equivalenza, che era soltanto un’iperbole, un sofisma per far apparire irragionevole ed esagerata una circoscritta e necessaria azione di igiene storica verso certi simboli, esposti in certi contesti. Si diceva: un conto sono i simboli del sud confederato, entità ribelle che si è scissa dall’Unione per continuare le sue pratiche schiaviste e dunque non merita alcuna celebrazione, un altro conto sono gli eroi illuminati della storia americana, pur con le loro contraddizioni.
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