L’uomo che verrà avrà le mani curve, le dita lunghe, il cranio più piccolo, la fronte più spessa, la gobba, i piedi palmati. Sapete, per via dello scioglimento dei ghiacciai, dell’uso prolungato di smartphone, dell’esposizione a schermi luminosi. Chissà poi se avrà un solo orecchio, come certi contemporanei di Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”, o se ne avrà due, dieci, nessuno, ora che i romanzi sono audiolibri, i documentari sono podcast, le conversazioni sono note audio, le terapie anti stress sono playlist, e tutto sembra confermare quello che ha scritto Forbes qualche mese fa: l’èra degli strilli è finita, benvenuti nella decade dell’ascolto. E chi se l’aspettava da un’umanità tronfia, boriosa, pigra e ossessionata dall’immagine, dove esiste solo ciò che è fotografato, che riscoprisse la voce, il suono, l’invisibile. Un’umanità che si smarrisce non appena i confini e le superfici delle cose sfumano, non combaciano, si rivelano diseguali, porosi, contraddittori, oscuri, ruvidi. Che chiede che il cinema venga contestualizzato, il male espunto, la letteratura sottoposta al tribunale del riesame perché da sola non è in grado di fruire di niente senza sentirsi offesa, aggredita, questionata. Che comunica senza dialogare, interagisce senza intervenire, connette senza unire.
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