Dalla parte dei bambini pallidi, a cui diamo come rifugio il disegno di un arcobaleno. Mille domande, e la sensazione di stare in troppe serie tivù
Dopo venti giorni chiusa in casa e il suo ottavo compleanno festeggiato in isolamento (ha spento le candeline in videochiamata con le compagne di classe), mia figlia mi ha posto una domanda alla quale non ho saputo rispondere. Alla tv c’era l’aggiornamento quotidiano sul numero di contagi, decessi e guariti, questi valori che salgono e scendono, seguiti da uno dei soliti servizi di telegiornale sui campi di guerra, ovvero i reparti di terapia intensiva, quando lei si è girata verso di me e ha detto: “Mamma, perché esistiamo?”. Ha poi ripreso a guardare lo schermo, il cui riflesso azzurrino la faceva sembrare, se possibile, ancora più pallida di quanto fosse in realtà. Ho spento dicendo che era troppo piccola per i quesiti filosofici e che dovevamo finire l’analisi grammaticale. Forse avrei potuto almeno provare a spiegarle perché esiste il Covid-19, il virus che ha messo in ginocchio le nostre vite, la causa dell’epidemia che ha cancellato in un giorno tutte le sue abitudini, vanificando la spessa rete sociale che qualunque genitore di figlio unico s’impegna a costruire negli anni, affinché quest’ultimo non debba sentirsi troppo solo e il genitore magari un po’ meno in colpa per non avergli voluto o potuto dare un fratello. Perché durante quest’emergenza in isolamento ci stiamo tutti, ma i figli unici un po’ di più.
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