Il 23 gennaio 1963 Alberto Arbasino faceva sul Giorno la poi celebre tirata sulla “Gita a Chiasso”: in Italia gli intellettuali si ostinavano a inseguire e affrontare temi e tematiche e autori “tradotti”, che nei paesi di origine erano ormai dati per scontati, scriveva Arbasino. Per superare questa impasse sarebbe bastato arrivare alla dogana “di Ponte Chiasso, due ore di bicicletta da Milano”, e lì procurarsi testi come – e lì citava una serie di volumi fondamentali della contemporaneità, arrivati vent’anni dopo in Italia. Questo ritardo ventennale, sosteneva Arbasino, procurava una specie di straniamento, una doppia velocità: autori già affermati e magari in crisi nelle loro madrepatrie (tipo Salinger) venivano pensosamente scoperti e discussi in Italia: e in generale si passava molto tempo “lamentandosi a vuoto e perdendo del tempo inventando la ruota (…) mentre altrove già si marciava in treno o in dirigibile”.
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