Dopo un decennio abbondante di social si continua a dire “ne parlano su Facebook” come si direbbe “l’ho visto in tv”: a conferma del fatto che ormai molte notizie date dai media tradizionali le ricaviamo indirettamente dai nostri contatti, ma anche del fatto che siamo un paese anziano e abitudinario. D’altra parte, quando si prova a misurare l’effetto di uno spazio insieme così pubblico e così privato, è difficile non ritrarsi con un senso di vertigine. Per capire davvero i modi in cui i social frammentano l’opinione pubblica bisognerebbe consacrare la vita alla sociologia. Tuttavia l’espressione di cui sopra, se usata per Facebook, esprime una verità elementare: questo “social dei vecchi”, dove anziché bruciarsi in stories, clip o battute, gli eventi si diluiscono in chiacchiere, ricorda un po’ uno spiazzo da sagra. Sotto i festoni kitsch, lingue e generazioni si mischiano e si fraintendono. C’è chi canta e chi fa comizi, chi amoreggia segretamente tra la folla e chi discute con pedanteria. I nipoti sfottono i nonni che li benedicono senza capirli, gli adulti minacciati dalla mezza età si mettono in mostra, e davanti a ogni avvenimento le tesi, le antitesi e le sintesi che Hegel spalmava sui secoli si condensano in una cena.
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