Sono tutte donne e femministe. Accademiche, poetesse, giornaliste. Sono state boicottate, licenziate o aggredite per aver espresso solidarietà a J. K. Rowling e aver detto che il sesso è reale e che i bambini non possono scegliere il gender. Inchiesta su un nuovo reato di pensiero
Cosa accadrebbe se una giornalista sostenitrice della teoria transgender, dopo anni di aggressioni editoriali e mobbing professionale, rassegnasse le dimissioni da uno storico giornale della sinistra, dicendosi stanca del clima, degli attacchi subiti e della mancanza di protezione da parte del direttore, e se poche ore dopo gli autori di un famoso musical si rifiutassero di andare alla radio pubblica britannica al fianco di un’altra scrittrice paladina del transgender? Grande levata di scudi, immediate campagne di opinione, unanime denuncia della società aperta erosa dal pregiudizio sessuale. È quello che è appena successo a Suzanne Moore e a J. K. Rowling, ma a parti invertite e senza le reazioni prevedibili. Moore, vincitrice del Premio Orwell per il giornalismo un anno fa, si è dimessa dal Guardian, il giornale per il quale scriveva da venticinque anni, dopo mesi di mobbing ideologico e persino una lettera firmata da 338 colleghi e indirizzata al caporedattore, Katharine Viner, dove la si accusava di “transfobia”.
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