Nel '68 guidava una Harley-Davidson rosa shocking, faceva entrare gli amici nel suo studio dalla porta sul retro perché l’ingresso era sorvegliato dai fascisti e li abbonava di nascosto al Manifesto con degli stratagemmi. Gian Butturini ha dedicato la sua vita a raccontare il mondo degli ultimi: dalle morti bianche, a Cuba, agli anni trascorsi insieme a Basaglia a scattare i manicomi del Friuli. La lista dei suoi reportage di denuncia arriva fino al Messico, passando per l’Eritrea e l’India e non solo. Butturini poteva essere definito una persona limpida: era difficile fraintendere le sue posizioni. Questo finché il suo primo libro, “London by Gian Butturini”, quello che ha segnato il suo passaggio dal design alla fotografia, non è stato accusato di contenere un’immagine razzista: una donna di colore in un gabbiotto che distribuiva i biglietti della metropolitana accostata a quella del più celebre gorilla dello zoo londinese. La miccia che ha portato il libro a essere ritirato dal mercato e destinato al macero, e Butturini a essere cancellato senza rinvio a giudizio, senza potersi difendere.
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