Sanpa tira più di Greta
Su Amazon c'è "I am Greta", documentario in guerra contro gli sprechi: non è l’arroganza del potere, è la forza del capitalismo. La domanda è se ora che Thunberg ha compiuto 18 anni di lei e del clima interessi ancora a qualcuno
Greta Thunberg? sembra un secolo fa. Le piazze piene di ragazzi che salvano il pianeta con le borracce in alluminio, gli scioperi senza aver mai avuto un lavoro, il mondo girato in barca o in treno prima che lo streaming fosse la regola. C’è tutto questo nel documentario I am Greta – una forza della natura su Amazon (se Netflix ti offre i documentari in guerra contro l’algoritmo, Amazon ti offre i documentari in guerra contro gli sprechi: non è l’arroganza del potere, è la forza del capitalismo). La domanda è se ora che Greta ha 18 anni e ha smesso d’essere una bambina radicale, ora che i marciapiedi sono coperti di mascherine, ora che le piazze si sono svuotate e il traffico è aumentato, di lei o del clima interessi ancora a qualcuno.
C’è stato un periodo pre-illuminazione. Greta è al ristorante e solleva felice due peluche di ritorno con la madre dal Disney Store di Parigi. Era prima di scoprire il cambiamento climatico. Ecco come descrive questo periodo della sua vita: “La mia era una famiglia ad alto consumo, compravamo tantissime cose, mangiavamo carne, guidavamo una macchina a benzina, volavamo in giro per il mondo”.
A quindici anni inizia i picchetti, attira l’attenzione, diventa il volto giovane dell’attivismo internazionale. Ma si accorge presto dell’inganno. A una conferenza Onu sul cambiamento climatico, quello che dovrebbe essere il suo nuovo mondo, durante la pausa pranzo si accorge che può scegliere solo tra bulgur e riso perché il resto è contaminato da carne e latticini. Non è come quando un vegano va in un vecchio ristorante e può scegliere tra misere verdure grigliate e la pasta al sugo. È che carne o formaggio non rispettano il diktat ambientale. Se ci tenessero al pianeta vivrebbero come lei: di sottrazione, di barattoli di fagioli e di tessuti tecnici.
Poi c’è l’Asperger, vantaggi: l’ostinazione e l’intransigenza; svantaggi: l'ostinazione e l’intransigenza, e il fastidio del dover parlare con la gente (pensa le sofferenze in manifestazione). Infine, c’è la politica: se la destra odia il gretismo, la sinistra se ne serve offrendole di continuo palchi in cambio di selfie. È lo stesso principio per cui le aziende americane invitano attivisti neri per farsi insultare. Sono i crediti formativi dell’impegno.
Greta scrive e riscrive i suoi discorsi, perfezionandosi. Il padre le obietta il tono, lei lo zittisce: “La frase è dura ma è vera”. Che abbia di fronte Macron, Obama o il Papa, per lei non fa alcuna differenza: serve panico, la casa brucia, voi non capite niente (Greta è l'anima delle feste). Avrà forse ragione Slavoj Žižek quando dice che i leader migliori di oggi sono le donne autistiche?
Il documentario si conclude con il famoso discorso alle Nazioni Unite di settembre del 2019. Per raggiungere New York attraversa l’oceano col padre in barca a vela dalla Gran Bretagna perché lei si rifiuta di prendere l'aereo. E ce la si immagina alternare lunghi silenzi a discorsi sull’acidificazione degli oceani, mentre del padre non sappiamo nulla, figura comprimaria tragica e sorprendentemente sopravvissuta alla noia. “Mi manca casa, mi manca la vita normale, con le mie routine, e i cani”, dice in balia delle onde, imbarcando acqua, dirigendosi in un luogo pieno di adulti che fingeranno di ascoltarla. Appena arrivata lo dice subito: “È tutto sbagliato. Io non dovrei essere qui di fronte a voi”. Era la recensione di un brutto viaggio che non avrebbe mai voluto fare.
Non è solo il mal di mare o essere Asperger a ispirarla. C’è anche la responsabilità, o se preferite un certo fanatismo, di dover salvare il mondo. Quel breve e intenso discorso, sempre in bilico tra Serge Latouche e Papa Francesco, termina in modo anti-profetico: “Il mondo si sta svegliando e il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”. Chissà se a lei piace.
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