Ea un certo punto siamo diventati tutti fragili. Giovani, vecchi, malati e sani, lavoratori in smart working, lavoratori in presenza, lavoratori senza lavoro. Tutti pronti sempre a spezzarci come un calice di cristallo, come lui preziosissimi e facili prede degli accidenti del destino. Non sappiamo esattamente quando sia successo che ci si sia trasformati in oggetti frangibili, ci verrebbe da dire con l’insorgenza della pandemia; probabilmente, però, è accaduto prima del lockdown di marzo, perché facendo un po’ di ricerca abbiamo scoperto che fra psicologi e terapeuti la nozione di fragilità come fenomeno sociale del Terzo Millennio circolava già da qualche anno e andava ampliandosi ben oltre le categorie che fino a poche stagioni fa venivano definite “a rischio”. Comunque sia, buona parte di noi si è accorta di essere diventata fragile solo durante il 2020, l’annus di gratia parvula che è stato salutato da molti con l’immagine ipersessista di un fragile calice di champagne infilato fra due natiche femminili (ce ne ha inviato uno via whatsapp perfino una collega ufficialmente cattolicissima, non credevamo ai nostri occhi). Dalla scorsa primavera abbiamo insomma ufficialmente mutato condizione. Non siamo più deboli, più o meno poveri, nemmeno depressi o tantomeno disoccupati, per non dire malati o, Dio ne scampi, vecchi: siamo solo fragili.
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