Massimo Giletti, una delle punte di diamante de La7 di Urbano Cairo e di Andrea Salerno, avrà pure molti difetti, come spesso raccontiamo su questo giornale, e avrà pure molti limiti, come spesso raccontiamo su queste pagine. Ma ha senz’altro un grande pregio che gli va riconosciuto con onestà intellettuale. Oltre a essere forse il più scomodo tra i giornalisti mondiali, il merito è quello di essere, all’interno del sistema mediatico italiano e forse mondiale, una spia fondamentale per intercettare anzitempo le nuove frontiere seguite dall’algoritmo dell’indignazione. Guardi Giletti, guardi i suoi servizi, guardi i suoi ospiti (magnifica la sintonia raggiunta con il condirettore in aspettativa da Repubblica oggi senatore ex renziano del Gruppo misto Tommaso Cerno, amabilmente ribattezzato da Maurizio Crippa “Cerno La Qualunque”, altro coltissimo ingranaggio dell’algoritmo dell’indignazione) e in un lampo ti si accendono mille lampadine e capisci, persino con più efficacia di un sondaggio sulla piattaforma Rousseau o di un instant poll sui canali della Bestia, dove andrà a concentrare i suoi sforzi il piccolo ceto medio riflessivo protestatario urbano che da settimane, sempre con grande scomodità, cerca di soffiare sul fuoco delle polemiche farlocche. E per capire la direzione dell’indignazione, indignazione che per coerenza con se stesso Giletti tenta ogni domenica sera di alimentare più che di sedare, è sufficiente partire da un simpatico hashtag, si fa per dire, rilanciato domenica sera, nel corso della sua trasmissione, in sovrimpressione, sui social, nei servizi, in studio: #vaccinopoli.
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